La rinascita della musica e del ballo tradizionali nel Salento

medium_pizzicata2Negli ultimi anni il Salento è diventato un luogo di culto per gli amanti delle musiche e della danze tradizionali. Soprattutto d’estate, nella Penisola fa i due mari è un continuo fiorire di iniziative di vario genere, dalle tipiche feste di paese ai grandi concerti simil-rock, eventi che attraggono decine di migliaia di persone, richiamate da questa grande offerta di “tradizione” in varie salse, ma anche dalla capacità di seduzione di una terra che ha saputo più di altre conservare una sua forte identità e una fascinazione “antica”. Allo sguardo del turista il Salento appare dunque come un luogo di forte e orgogliosa conservazione della cultura tradizionale. In realtà questo è vero solo in parte. Nel corso del secolo XX, anche questa parte estrema d’Italia è stata coinvolta nella repentina e violenta “modernizzazione” che ha portato il nostro Paese a passare in pochi decenni da un’economia prevalentemente agricola e arretrata all’industrializzazione, con i suoi corollari di omologazione dei costumi e dei comportamenti, di emigrazione di massa e di radicale spopolamento delle campagne. Processi questi che hanno gradualmente disarticolato una cultura antica che sopravviveva da millenni (Pier Paolo Pasolini come è noto, con una delle sue metafore potenti, parlava di “genocidio culturale”). Come in altri luoghi, anche nel Salento, mentre il “progresso” avanzava portando indubbi miglioramenti nella qualità della vita (ma facendo anche, non dimentichiamolo, molti danni, a cominciare da quelli ambientali), alcuni intellettuali e operatori culturali hanno lavorato per cercare (disperatamente) di trattenere almeno una parte della cultura dei contadini e delle classi povere, che inesorabilmente stava scomparendo, insieme al mondo di cui era stata parte fondamentale.Il risultato di questo percorso “resistenziale”, i cui protagonisti sono stati una variegata congerie di personaggi locali, coadiuvati a volte da personalità più blasonate, provenienti anche “da fuori”, è uno dei fenomeni musicali più sorprendenti e clamorosi degli ultimi anni, che possiamo definire come il rinascimento della pizzica(1).Il tentativo di rivitalizzare la musica tradizionale nel Salento comincia più o meno quando la tradizione viva -documentata nelle campagne di ricerca sul campo condotte dai tanti studiosi, a partire da Alan Lomax, Diego Carpitella ed Ernesto de Martino– era già in uno stato di forte crisi. Quando in campagna si cantava sempre meno, i tamburelli rimanevano appesi al muro, le ultime tarantate avevano smesso di andare a Galatina e nessuno ballava più la pizzica-pizzica, cominciò un lavoro collettivo di lunga durata, per lungo tempo minoritario, nel tentativo di salvare il salvabile e tenere viva la “cultura tradizionale”, almeno in alcuni suoi aspetti. Possiamo dire che, per quanto riguarda la musica (e in misura minore la danza) il punto di partenza può essere posto tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta del secolo scorso, in parallelo con l’esplosione della contestazione studentesca (infatti fu proprio nell’Ateneo leccese che cominciò a svilupparsi questo dibattito).Il primo “movimento” salentino, la cui ispiratrice e ideologa è stata Rina Durante(2), era di fatto una derivazione provinciale del più vasto e solido folk revival nazionale, di cui riproponeva le marcate motivazioni politiche, accentuando il valore antagonista della cultura contadina. In questo contesto, il fare musica era visto come una forma particolare di impegno sociale, come tentativo di restituire dignità alla cultura contadina del Salento e alle sue forme espressive, in un progetto complessivo di emancipazione delle classi subalterne. Sulla base di questa impostazione, il primo collettivo musicale salentino, che dopo una prima fase embrionale si stabilizzerà a metà degli anni Settanta con il nome di Canzoniere Grecanico Salentino, avrà un fecondo rapporto di confronto e di scambio con la folk singer nazionale per eccellenza, Giovanna Marini.

In seguito, con l’arrivo dei “terribili” anni Ottanta, in cui prevalsero altri interessi musicali e culturali, i gruppi attivi nel Salento, in mancanza di committenze ed attenzione, si sciolsero o cambiarono decisamente direzione.

A partire dalla fine di questo decennio la nostra storia, però, comincia a svilupparsi in modo del tutto imprevedibile ed originale. Quando in Italia gli esponenti del folk revival nazionale, anche quelli più schierati, stentavano a trovare spazio persino nei circuiti “amici” delle feste dell’Unità e dell’Arci, nel Salento si avvia un lavorìo sotterraneo ma sempre più esteso, finalizzato alla rivitalizzazione delle culture musicali tradizionali, con particolare riferimento alla “pizzica”, carica di ancestrali suggestioni.

Partita dal basso, per iniziativa di operatori locali e gruppi di base molto determinati (a cominciare dal regista Edoardo Winspeare, grande attivista e autore di due film, Pizzicata e Sangue Vivo, ambientati nel mondo della musica popolare), questa azione, rispondendo evidentemente ad esigenze diffuse sul territorio, incontrò un consenso sempre più crescente, travalicando anche i confini regionali, grazie ai circuiti “alternativi” dei centri sociali e le comunità di studenti universitari salentini fuori-sede disseminate per l’intera Penisola. Recependo in parte le istanze delle generazioni precedenti, ma in una nuova chiave più orientata a dinamiche di rivendicazione identitaria e di valorizzazione delle risorse locali, nacque così un nuovo “movimento”, solido e vitale, che coinvolse migliaia di appassionati e che, salvo rare eccezioni, si muoveva in sostanziale autonomia dalle istituzioni (università ed enti locali), fino ad allora assenti da questo straordinario fermento culturale ed artistico che movimentava la scena salentina. L’intervento massiccio, sia economico che gestionale, delle amministrazioni pubbliche, arriverà solo verso la fine degli anni Novanta, in particolare con l’ideazione e l’organizzazione del mega-festival La notte della taranta), facendo letteralmente esplodere il “movimento della pizzica”, non senza averne modificato alcune connotazioni fondamentali.

A differenza di quanto in molti pensano dunque, il movimento musicale salentino non è un’eredità “naturale” e diretta di un passato ricco e vitale, ma il risultato di un’operazione di ri-costruzione, in cui una parte della “tradizione” è stata ripresa, modificata e adattata ad un consumo culturale del tutto contemporaneo. Sul modo in cui condurre questa operazione, il movimento salentino negli anni ha dibattuto vivacemente, si è diviso, è arrivato a veri e propri litigi, tentando strade molto diverse, commettendo molti errori e a volte rasentando il falso storico, anche per la mancanza di documentazione e di strumenti critici adeguati: gli operatori locali si sono dovuti praticamente “inventare” competenze e modalità di intervento, in quanto la comunità scientifica, a parte pochi casi, si è sempre ben guardata dal fornire un sopporto adeguato, tranne stigmatizzare poi gli errori inevitabili emersi all’interno del movimento, pontificando con sufficienza sulle sue contraddizioni.
La reinvenzione del ballo tradizionale

Non c’è dubbio che una delle cause fondamentali del successo del movimento salentino sia la straordinaria diffusione del ballo della “pizzica-pizzica”, la cui fama (soprattutto nella sua versione postmoderna di “taranta”) è ormai andata ben oltre i circuiti degli appassionati, arrivando a sfondare addirittura il muro dei mass-media nazionali (con risultati spesso a dir poco naïf). Ora, come per la musica, ma in maniera più accentuata, il passaggio del ballo dai contesti tradizionali ai luoghi contemporanei (principalmente le piazze e i palchi dei concerti) ne ha comportato una radicale trasformazione, nei passi e nelle coreografie, ma anche e soprattutto nell’estremizzazione degli aspetti seduttivi e “del corteggiamento”, in particolare per quanto riguarda il ruolo femminile.

Queste trasformazioni hanno origine in alcune sperimentazioni di “spettacolarizzazione” di alcuni aspetti della tradizione coreutica locale nell’ambito di progetti teatrali, condotte a partire dagli anni Ottanta – in un periodo come abbiamo detto di forte riflusso della “tradizione”. Particolare importanze in questo senso riveste il lavoro svolto da Cristina Ria(3) e Giorgio Di Lecce(4).

Sulla scorta di queste esperienze Di Lecce, nei primi anni Novanta, nel momento in cui ricominciava a crescere l’interesse per la cultura popolare, diventa il protagonista di un processo di “codifica” e diffusione della cosiddetta neopizzica che, con una serie di trasformazioni e di ritocchi della danza tradizionale e di aggiunte mutuate da modelli coreutici di varia provenienza, configurerà un modello di danza “rinnovata”, destinata ad avere un enorme successo e a contribuire in modo determinante alla “moda” del Salento “pizzicato”.

Dobbiamo a questo proposito tenere presente che i processi di disgregazione del ballo tradizionale sono stati più profondi e precoci di quelli che hanno riguardato la musica, anche a causa della diffusione di danze “popolaresche” non autoctone e dei balli di provenienza estera (soprattutto quelli di origine nord-americana). Inoltre, mentre per la musica esiste una imponente documentazione sonora a cui fare riferimento, che parte dall’inizio degli anni Cinquanta, sulla danza esiste pochissimo, e perlopiù riferito a periodi molto più recenti (se si escludono i documentari sul tarantismo, fenomeno che ha anche una sua peculiarità coreutica, non si hanno documentazioni significative precedenti gli anni Novanta). Tutto questo, naturalmente, ha contribuito a rendere estremamente difficile una ricostruzione più “filologica” (ammesso che qualcuno si fosse posto questo obiettivo).

L’etnocoreologo Giuseppe M. Gala, autore degli studi più approfonditi sull’argomento(5), ha descritto in alcuni suoi interventi questo processo di reinvenzione, coniando il termine “neo-pizzica”, che a suo avviso sarebbe una «una nuova pizzica totalmente plagiata dalla concezione mielatamente galante del ballo popolare»(6). Secondo Gala Giorgio Di Lecce nella sua operazione avrebbe forzato in maniera significativa i dati della tradizione coreutica, «attingendola vagamente alle descrizioni verbali di alcuni anziani» e «senza alcuna competenza coreografica né analisi etnocoreologica»(7), ricorrendo anche a vere e proprie invenzioni terminologiche, come “pizzica de core” (nome che dovrebbe individuare la pizzica cosiddetta “di corteggiamento”, comunque non documentato nella tradizione).

La “neo-pizzica”, così congegnata, si è diffusa enormemente, attraverso l’“imitazione” delle coppie di ballerini nei concerti e nelle feste ma soprattutto attraverso le centinaia di corsi e laboratori che insegnanti, spesso improvvisati e poco consapevoli (che a loro volta hanno appreso da “maestri” in molti casi troppo superficiali e disinvolti, in una catena continua) hanno organizzato in giro per l’Italia(8). Queste sono poi, sempre secondo Gala, le caratteristiche della “neopizzica”:

«La neo-pizzica si basa su una mescolanza approssimativa di ingredienti preparati con lo scopo di costruire un ballo-simbolo che rappresentasse nel mondo l’immagine del Sud e dell’Italia: corteggiamento esasperato attinto dal folklorismo di spettacolo (come il gioco degli sguardi ravvicinati, la testa rigirata e la mimica “caballera”, passettini lenti di maniera, atteggiamenti flamencati o “a torero”, pantomima teatrale di una narrazione erotica (fuga-inseguimento-accettazione), elementi di rituali estatici (rotazioni, dinamiche parossistiche, estraniamenti momentanei) sono stati mescolati e vengono trasmessi da giovane a giovane (non da vecchio a giovane com’è solitamente nella tradizione) durante i grandi concerti di “pizzica-rave” dell’estate salentina o da improvvisati insegnanti in corsi di danza. Secondo ogni buona regola di marketing, la nuova invenzione è sostenuta da qualche fiction cinematografica (Pizzicata, Sangue vivo, servizi televisivi, ecc.), da ritrovi musicali di “pizzicati” in tutta Italia e da nuove terminologie “ad effetto”, inesistenti nella tradizione, come: “pizzica de core”, il “ballo della taranta”, la “danza dei coltelli” o la “danza delle spade”, le “tre tarante” ecc(9)».

Le tesi di Gala sono ineccepibili e non possono che essere condivise. Occorre anche dire però che molto probabilmente una delle ragioni del grande successo del ballo della pizzica-pizzica rispetto ad altre danze tradizionali sta proprio nel modo così disinvolto con cui è stato “venduto” a un pubblico che evidentemente non aspettava altro. Le “modifiche” apportate alla grammatica tradizionale – pur con tutte le conseguenze negative segnalate da Gala – hanno permesso una maggiore adesione di questo ballo al linguaggio del corpo dei giovani di oggi e non solo, visto che i praticanti sono ormai di tutte le età. Inoltre l’apparente mancanza di “regole” rigide consente ai neofiti di “entrare nella ronda” in maniera molto più semplice rispetto ad altre danze e ad altri contesti, più rigidi proprio perché più integri e quindi più conservativi. Per una sorta di paradosso, forse la pizzica ha avuto tanto successo proprio perché, essendo “morta” nella sua versione tradizionale, è stato più facile costruirne un simulacro “contemporaneo” molto più vendibile.

Anche su questa tematica però il movimento salentino – o almeno la sua parte più avvertita – ha saputo prendere coscienza dei processi degenerativi in atto (grazie anche ai continui stimoli che sono venuti da studiosi seri come Gala), e ha cercato di porvi rimedio. Negli anni, si è cominciato a fare ricerca anche sulla danza, interrogando gli anziani, e cercando di ricucire in qualche modo il salto generazionale. Sono nati percorsi didattici molto più orientati al recupero della grammatica tradizionale del ballo (e spesso anche dei contesti, privilegiando ad esempio la dimensione delle piccole feste con musica eseguita in acustico rispetto ai concerti con palco e amplificazione). Si tratta, com’è evidente, di una sfida aperta.

 

(1) Alla storia del movimento salentino ho dedicato un approfondito studio – da cui sono tratte in gran parte le brevi riflessioni di questo saggio – confluito nel volume Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina, libro con cd audio, Squilibri 2008, a cui rimando per approfondimenti.

(2) Rina Durante (1928-2004) è stata certamente una delle figure di intellettuale “impegnata” più importanti che il Salento abbia avuto nella seconda metà del Novecento. Ha avuto anche il merito, in anticipo su tutte le mode, di impostare con intelligenza e lungimiranze un seminale lavoro di ricerca e intervento su tema della cultura popolare, che è alla base di tutto ciò che è stato costruito in seguito nel Salento. Cfr.: V. Santoro, Rina Durante, militante culturale, in Folk Bulletin, n. 412, luglio-agosto 2005.

(3) Operatrice teatrale e coreografa, già attiva negli anni Settanta con il gruppo Oistros e il Canzoniere Grecanico Salentino. Collaborò anche nei primi anni ’90 al film Pizzicata di Edoardo Winpeare, ambientato in una comunità contadina degli anni ’40, curando le scene di danza, già fortemente caratterizzate da una coreografia “creativa” (si vedano ad esempio le posture dei ballerini ma anche il fatto che si balla in gruppo, mentre nei contesti tradizionali i balli si eseguivano una coppia per volta nelle “ronde”).

(4) Ricercatore e operatore culturale, prematuramente scomparso il 23 giugno del 2003. Oltre agli interventi sul tema della danza e all’attività di musicista con la compagnia Arakne Mediterranea, Di Lecce ha anche dato un contribuito importante alla ripresa degli studi sul tarantismo, soprattutto con la pubblicazione della raccolta di saggi La danza della piccola taranta, Sensibili alle Foglie, Roma 1994. Una ricostruzione del suo percorso artistico e di ricerca è contenuta in O. Di Tondo, I. Giannuzzi e S. Torsello (a cura di), Corpi Danzanti – Culture, tradizioni e identità. Atti delle Giornate di studio in memoria di Giorgio Di Lecce, Besa Editrice 2009.

(5) Tra i quali possiamo segnalare: “La pizzica ce l’ho nel sangue”. Riflessioni a margine sul ballo tradizionale e sulla nuova pizzicomania del Salento, in V. Santoro, S. Torsello (a cura di), Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, edizioni Aramirè Lecce 2022, pp. 109-153; Modificazioni coreo-musicali e nuovi linguaggi corporei, in A. Lamanna (a cura di), Ragnatele, Roma, AdnKronos 2002, pp. 40-53; La pizzica pizzica, 2003; Il dissidio nel corteggiamento e il sodalizio nella sfida: per una rilettura antropologica del complesso sistema dell’etnocoreutica italiana, in P. Fumarola, E. Imbriani (a cura di), Danze di corteggiamento e di sfida nel mondo globalizzato, Besa, Nardò 2006, pp. 63-110.

(6) G. M. Gala, Il dissidio nel corteggiamento, cit., p. 78.

(7) Ivi, p. 79

(8) E non solo: ad esempio esiste un’importante “scuola” così impostata che negli anni si è costruita un successo notevole anche negli Stato Uniti.

(9) G. M. Gala, La pizzica pizzica, cit

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