Il viaggio di Leydi nella musica folk

di Sergio Torsello

in “Nuovo Quotidiano di Puglia”, Martedì 17 Marzo 2015

A più di dieci anni dalla morte, la complessa figura di Roberto Leydi (1928-2003) attendeva ancora un adeguato riconoscimento non solo come uno dei padri fondatori dell’etnomusicologia nazionale, ma come uno degli intellettuali di maggior spicco nel panorama culturale del secondo Novecento italiano. A colmare questa lacuna giunge ora un ponderoso volume dal titolo Roberto Leydi e il Sentite buona gente. Musiche e cultura nel secondo dopoguerra ( pp. 545, € 32,00, con Cd e Dvd allegato ) firmato da Domenico Ferraro e recentemente edito per i tipi di Squilibri. Nato come pubblicazione dei materiali dello spettacolo Sentite buona gente, curato da Leydi con la consulenza di Diego Carpitella e la messa in scena di Alberto Negrin per la stagione 1966–’67 del Piccolo Teatro di Milano, il libro si rivela in realtà una ricostruzione magistrale non solo dell’affascinante biografia intellettuale dello studioso milanese, ma anche di un periodo cruciale della vita culturale italiana, dalla nascita dell’etnomusicologia al dibattito sul folk revival. Formatosi nel fervido milieu “progressista” della Milano del dopoguerra a contatto con personalità come Ferdinando Ballo, Paolo Grassi, Elio Vittorini, Giorgio Strehler e con amici Luciano Berio e Umberto Eco (che più tardi lo vorrà con sè al Dams di Bologna), Leydi è animato da un eclettismo bulimico che lo porterà ad occuparsi con sorprendete competenza di musica popolare, ma anche di jazz, musica elettronica, melodramma, cinema e fumetti. Una singolare figura di intellettuale e animatore culturale per nulla “organico”, anzi felicemente disorganico rispetto ad accademie, settarismi ideologici e disciplinari. In questo profondamente diverso dal suo alter ego, Diego Carpitella, col quale pure condividerà, tra occasionali sintonie e sostanziali divergenze, un lungo sodalizio umano e scientifico. Pensato in risposta a Ci ragiono e canto di Dario Fo e del Nuovo Canzoniere Italiano, Sentite buona gente ( al quale parteciparono gruppi di cantori e musicisti tradizionali di varie regioni di Italia: gli Spadonari di Venaus, i Cantori di Carpino, i Tenores di Orgosolo con Peppino Marotto, le Sorelle Bettinelli di Ripalta Cremasca, la Compagnia Sacco di Ceriana, i Suonatori di Maracalagonis, i Musicisti, cantori e danzatori di San Giorgio di Resia, i Musici – terapeuti del Salento guidati da Luigi Stifani) è una “pionieristica” esperienza di ricerca e spettacolo che diventa uno snodo centrale, seppure non definitivo, nella carriera di Leydi. Se Ci ragiono e canto è l’emblema dell’uso politico del folklore musicale che privilegia il “ricalco” dei nuovi cantanti revivalisti rispetto agli esecutori tradizionali, Sentite buona gente (che non a caso reca il sottotitolo “Prima rappresentazione di canti, balli e spettacoli popolari italiani”) vuole attestare invece la presenza di un’”altra” cultura musicale, ancora in parte sconosciuta o negata dalla cultura ufficiale. Ma c’è di più. L’evento, con la sua connotazione fortemente innovativa, fornisce ai curatori l’occasione per una verifica empirica delle riflessioni sul folk revival e sulle modalità di valorizzazione dei patrimoni popolari. La conferma che i repertori tradizionali non hanno bisogno di essere “presi per mano” per essere introdotti nel giro dei mass – media. Prova ne sia l’insospettato senso dello spettacolo con cui i musicisti tradizionali risolvono le controverse modalità di passaggio dalla realtà al palco. Riflessioni di sorprendente modernità se si pensa al periodico ritorno di questi temi nel dibattito contemporaneo. Un libro oltremodo prezioso, dunque, questo di Ferraro. Sorretto da una vastissima documentazione anche inedita e da un ricco apparato fotografico, che opportunamente offre nel Dvd e nel Cd allegati la riduzione televisiva dello spettacolo e una selezione dei brani musicali registrati sul campo da Carpitella e Leydi, dal Piemonte al Salento, in preparazione dell’evento. Un libro al quale ci si può accostare da diverse angolazioni: saggio sul folk revival degli anni Sessanta, ricostruzione di una pagina poco conosciuta di vita culturale del dopoguerra, ritratto di un “maestro” ancora oggi insuperato. Domenico Ferraro, docente di storia della Filosofia moderna all’università Tor Vergata di Roma, e’ presidente dell’associazione Altrosud che cura il progetto “Rete degli archivi sonori” nel quale rientra l’Archivio Sonoro di Puglia.

Con Stifani l’orchestrina terapeutica del Salento

Una pagina dimenticata di storia musicale del Salento. Particolarmente intensa fu la partecipazione allo spettacolo dell’”orchestrina terapeutica” del Salento, composta da Luigi Stifani (violino), Tora Marzo (tamburello), Pasquale Zizzari (organetto), Giuseppe Ingusci (chitarra), che Carpitella aveva incontrato nel 1959 durante la celebre inchiesta demartiniana sul tarantismo. I musicisti salentini, impegnati forse per la prima volta nel passaggio – è il caso di dirlo – dal “rito” al “teatro”, eseguirono due travolgenti versioni di una “pizzica tarantata”. Durante l’esibizione, sullo schermo alle loro spalle, vennero proiettate alcune sequenze del documentario La Taranta di Mingozzi. In vista dello spettacolo, Leydi e Carpitella registrarono a Nardò, in casa di Pasquale Zizzari l’11 Dicembre del 1966 due brani, Tarantella neretina indiavolata e Tarantella neretina in Re maggiore, inclusi nel cd allegato.

 

Una parte della travolgente esibizione dell’orchestrina di Nardò:

 

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