La Strina, il canto di Natale della tradizione salentina

di Vincenzo Santoro

da Salento Review, n. 4/2013

panizza-questua-nataleNella tradizione musicale salentina, in quella più spiccatamente rurale come in quella artigiana e cittadina, esistono diversi canti riferiti al periodo natalizio. Uno dei più affascinanti è sicuramente La strina, canto rituale di questua, che si eseguiva nel periodo fra San Silvestro e l’Epifania, periodo di relativa tranquillità per i lavori agricoli.

Durante questi giorni, gruppi di contadini andavano in “processione” per paesi e masserie a cantare, a due voci con accompagnamento strumentale, la nascita del Messia, improvvisando una sequenza di strofe vernacolari che partivano dall’annuncio: «È natu Gesù Cristu redentore / lu mundu s’ha cambiatu ogni momentu / ca ‘ppena dese la benedizione / e fice scomparire ogni lamentu».

Si proseguiva raccontando di Gesù bambino appena nato, san Giuseppe e la Madonna, l’asinello e la “vaccarella”, e i pastori che accorrono, con le pecorelle, per assistere all’evento: «Puru la pecurella vose scire / cu biscia Gesù Cristu comu stia / lu pastorellu si la secutava / sonandu lu fischiettu se ne scia».

E l’arrivo dei Magi dall’Oriente, che portano i loro doni: «Quannu alla grotticella su ‘rrivati / truvara Gesù Cristu cu Maria / la vaccarella ci sta lu fiatava / e Gesù Cristu a tutti benedìa». È questo il significato profondo del canto, quello dello scambio di doni (la “strenna”). Infatti, alla fine dell’esecuzione, i contadini chiedevano, in cambio degli auguri, dei doni in natura: «A l’addha parte poi cu te vantamu / te lu rricalu ca ta ‘mmortalatu / presto danni quiddhu ca n’hai dare / ca face friddu e tocca nni nde sciamu».

Ad aumentare il fascino di questo brano – che proviene essenzialmente dalla Grecìa salentina (e in particolare da Corigliano d’Otranto) – c’è il fatto che poteva essere cantato con strofe in dialetto romanzo e in grico (a volte in alternanza).

La versione più nota è quella registrata da Brizio Montinaro e Luigi Chiriatti e pubblicata nel primo dei due mitici dischi dedicati al Salento (dal titolo Musica e canti popolari del Salento) della collana “documenti originali del folklore musicale europeo” dell’etichetta Albatross, usciti nel 1977/78 (e ripubblicati nel 2002 in cd dalle edizioni Aramirè). Si tratta di una esecuzione di Luigi e Antonio Costa, due contadini di Corigliano d’Otranto, che è stata la base per i rifacimenti successivi di alcuni gruppi di riproposta (e da cui prendiamo le citazioni di questo articolo).

Una versione musicalmente più ricca, interamente in grico, sempre registrata a Corigliano d’Otranto negli anni Settanta, si può ascoltare in un altro prezioso cd delle edizioni Aramirè, Canto d’amore. Voci, suoni e ritmi della Grecìa salentina (2004). Gli esecutori sono un gruppo di contadini che si accompagnano con gli strumenti tipici di questo canto: arpa a sonagli, tamburello, triangolo, “cupa-cupa” (tamburo a frizione) e organetto.

Oggi questo canto ha perso completamente il suo uso tradizionale, e viene eseguito raramente, peraltro in maniera quasi del tutto defunzionalizzata. Anche nei tantissimi “presepi viventi” che durante il periodo natalizio si allestiscono nel Salento, pur molto attenti alla riproduzione degli oggetti e alle scene di vita “tradizionali”, non capita quasi mai di sentirlo. Per le sue particolarità, è anche poco usato nei concerti dei gruppi di risposta.

Una ampia selezione di canti di questua di Corigliano d’Otranto (con molti inediti) è conservata presso l’Archivio Sonoro Pugliese
Questa invece è la versione storica da cui sono tratte le strofe citate nell’articolo:

Questa invece è un bella versione di riproposta, del mitico Canzoniere di Terra d’Otranto (per avere informazioni sul gruppo cliccare qui), dal cd Bassa Musica (1994):

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