Qua si campa d’aria

A quarant’anni dalla prima edizione in vinile, riedito il fondamentale L’Italia cantata dal Sud di Otello Profazio

 

di Vincenzo Santoro

 

da Il Paese Nuovo del 24 luglio 2011

 

otello 4Come è noto, le modalità contraddittorie con cui si è realizzato il processo di unificazione nazionale, soprattutto per quanto riguarda la confluenza del vecchio regno del Sud nel nuovo Stato, hanno dato origine a correnti di pensiero fortemente critiche rispetto all’esito della vicenda risorgimentale. Per quanto minoritarie, queste correnti sono sempre state molto presenti nel dibattito culturale nazionale (si pensi, per fare solo un celebre esempio, al lapidario giudizio di Antonio Gramsci, per cui “Lo stato italiano è stato una feroce dittatura che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale, squartato, fucilato, seppellito vivi poveri contadini che scrittori salariati hanno infamato col marchio di briganti”), ma proprio negli ultimi tempi per varie ragioni stanno godendo di un grande successo mediatico ed editoriale (non si contano più le pubblicazioni “revisionistiche”, a partire dal best-seller Terroni di Pino Aprile), e pare in atto anche un tentativo di darne uno sbocco politico, con la costituzione di un vero e proprio “partito del Sud”).

Questo dibattito non ha però coinvolto solo studiosi e politici vecchi e nuovi, ma ha avuto anche un interessante sviluppo nel campo della musica popolare, dove il lavoro creativo di alcuni artisti, partito spesso dallo studio e dalla rielaborazione dei materiali musicali tradizionali, ha prodotto un corpus di canzoni che compongono una vera e propria “controstoria cantata” dell’Unità d’Italia vista dal Sud.

Un’opera fondamentale del “meridionalismo musicale” viene oggi meritoriamente ripubblicata dall’editore Squilibri, a quarant’anni dall’edizione originale in vinile, in un agile cd/libro: si tratta de L’Italia cantata dal Sud di Otello Profazio, uno dei maggiori esponenti della canzone popolare italiana. Utilizzando brani ispirati ai repertori tradizionali e composizioni originali, ma anche testi del grande poeta dialettale siciliano Ignazio Buttitta, Profazio ripercorre le vicende risorgimentali – in un viaggio musicale per voce e chitarra ricco di contenuti ma comunque di grande gradevolezza – dal punto di vista delle genti meridionali (e siciliane in particolare), di cui cerca di rappresentare gli stati d’animo e i sentimenti di fronte a questo decisivo avvenimento storico, che suscita enormi aspettative ma che produce presto, soprattutto nella fasce più disagiate della popolazione, grandi delusioni, a partire dagli inasprimenti fiscali, a cui è dedicata Guvernu ‘talianu, celeberrimo e sempre attuale inno contro le tasse (dall’irresistibile ritornello: “Guvernu ‘talianu, ti ringraziu / chi per pisciare non si paga daziu // E chi per farsi ‘na ca-ca-cantata / non c’è bisognu di carta bullata”), e dall’istituzione della leva obbligatoria di sette anni, di cui parla La leva: “Vulêmu a Caribardi / però senza la leva // E se iddhu fa la leva / cambiamu la bandêra”).

All’intonazione epica di alcuni canti si accompagna una robusta dose di ironia, che lascia emergere un disincanto dolente ed atavico di chi ha alimentato qualche speranza di cambiamento soltanto come momentanea fuga dalle brutture di un presente comunque intollerabile. E questo sia nella prima parte del disco, che ripercorre le vicende storiche risorgimentali, sia nella seconda, dove alcuni drammatici temi che hanno caratterizzato la storia più recente, dall’emigrazione (di cui tratta la struggente Canzone dell’emigrante) alla mafia (con il commosso Lamentu pi la morti di Turiddu Carnevali, adattamento di una poesia di Ignazio Buttitta scritta per reazione all’uccisione mafiosa di un sindacalista), vengono descritti mettendone drammaticamente in rilievo la perdurante attualità.

Ad aprire e chiudere il disco, in una fatalistica traiettoria circolare, la breve strofa di Fatto strano: “Sciuri di granu / sciuri di granu // dicitimi: è o non è ‘nu fattu stranu? / Nascìa in Sicilia e sugnu italianu”.

Nel libro allegato al cd, oltre a una preziosa presentazione di Carlo Levi, tratta dalla prima edizione in vinile, spicca un interessante e approfondito saggio di Mimmo Ferraro, che ripercorre criticamente la lunghissima carriera di Profazio, mettendone in evidenza le originali caratteristiche stilistiche e l’importanza per la storia della canzone popolare italiana, sia per la sua sterminata produzione discografica, che inizia addirittura a metà degli anni Cinquanta, sia per il suo ruolo di promotore culturale (a partire dalla direzione, insieme a Giancarlo Governi, della mitica collana “folk” della Fonit Cetra) e di conduttore di fondamentali programma radiofonici e televisivi (dove ha ospitato e valorizzato grandi esponenti della canzone popolare, come Rosa Balestrieri, Caterina Bueno e il nostro Matteo Salvatore, a cui lo ha legato una fraterna amicizia).

Molto pungente, nel saggio di Ferraro, la parte in cui vengono esplicitati i difficili rapporti del cantastorie calabrese con il mondo del folk-revival più “impegnato” e chiaramente orientato a sinistra, che gli rimproverava da una parte una radicale edulcorazione dei modi musicali propri del mondo popolare, che ne attenuava i caratteri di alterità rispetto alla musica “borghese”, e dell’altra una eccessiva deriva commerciale.

Emergono così le contraddizioni di un movimento in cui spesso, per un’accentuata ideologizzazione ma anche per la difesa piccole posizioni di rendita, si arrivava a vere e proprie falsificazioni della realtà. Come nel caso di alcuni brani pervicacemente attribuiti, anche in tempi recenti, alla “tradizione popolare”, e che in realtà risultano composti da Profazio, di cui viene fornito un lungo elenco; ma anche per quel che riguarda una delle operazioni più discutibili che venivano condotte in quegli anni (di cui anche il Salento non è stato immune): la pratica di depositare alla Siae, come se fossero brani d’autore, i canti che venivano registrati da “esecutori popolari” nel corso delle ricerche sul campo. Operazioni che, se giustificate da esigenze a dire la verità un po’ contraddittorie (in particolare quelle di tutela dei ricercatori e degli interpreti), hanno sortito esiti opposti a quelli perseguiti, con conseguenze paradossali, per cui se qualcuno della comunità di provenienza di un canto “tutelato” in questo modo volesse riprenderlo, dovrebbe in teoria chiedere l’autorizzazione ai “depositari”, e pagargli il “diritto d’autore”. A voler essere buoni, un caso emblematico di eterogenesi dei fini.

 

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