Un nuovo romanzo “pizzicato”

di Vincenzo Santoro

8 giugno 2011

Il 15 giugno prossimo uscirà per la raffinata casa editrice Adelphi il nuovo romanzo di Andrej Longo, Lu campo di girasoli. Dal risvolto di copertina si evince chiaramente che si tratta di un libro – scritto peraltro da un non salentino – che usa il Salento “pizzicato” come scenario ideale, come luogo dell’immaginario. L’ultimo di una lunga serie, dopo Delle volte il vento, della bolognese Milena Magnani (Vallecchi 1996), Otranto di Roberto Cotroneo (Mondadori 1997), Casa rossa di Francesca Marciano (Longanesi 2003), Rosso taranta, di Angelo Morino (Sellerio 2006), Il bacio della tarantola di Giovanna Bandini (Newton Compton 2006) e infine Metti il diavolo a ballare (Einaudi 2009) della musicista napoletana Teresa De Sio, e anche, su un piano un po’ diverso, l’intenso Ternitti di Mario Desiati, edito  pochi mesi fa da Mondadori (per citare solo i più importanti). Su questo fenomeno, a mio avviso così singolare e interessante, ho dedicato un apposito capitolo del mio saggio Il ritorno della taranta (che dovrò presto aggiornare, visto il ritmo delle nuove uscite), nonché un articolo pubblicato sulla rivista Coolclub (La Puglia immaginata. Una regione scritta da altrove). Vedremo che sorprese ci riserva il romanzo di Longo.

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Lu campo di girasoli

 

Il primo sorriso Caterina e Lorenzo se l’erano scambiato al ‘party’ del sindaco – «Ca lu chiamava party picché faceva cchiù moderno. E cu lu modernamiento isso s’era vinciuto li votazioni». Era da un pezzo che Lorenzo teneva nel cuore quella malattia, ma aveva cercato di non pensarci: perché sulla «vuaglioncella» aveva messo gli occhi Rancio Fellone, il figlio dell’uomo più ricco del paese, e lui, Lorenzo, era solo il nipote dello scarparo: «Pirciò aviva deciso ca Caterina se l’aviva levare da la capa». Poi, quella sera, lei lo aveva guardato, e non aveva smesso di guardarlo mentre lui suonava la tammorra come mai prima. E da allora si erano visti di nascosto, ogni domenica mattina, al mare. Ma Rancio Fellone sapeva: e aveva deciso di vendicarsi, e insieme di togliersi quel «vulìo». Così, il giorno della festa di San Vito, mentre sulla piazza del paese tutti si preparavano a scatenarsi nella pizzica, Rancio Fellone, insieme ai suoi degni compari Cicciariello e Capa di Ciuccio, aveva aspettato i due ragazzi nel campo di girasoli dove si erano dati appuntamento. E la cosa sarebbe finita male se non lontano da quello stesso campo non si fossero fermati, dopo aver goffamente svaligiato un banco lotto, due rapinatori improvvisati: Dummenico, un operaio disoccupato, e il Professore, uno di quelli che ancora credevano alla solidarietà, al popolo e alla rivoluzione proletaria. Saranno questi due «angeli con la pistola» (comprata, peraltro, in un negozio di giocattoli) il deus ex machina della vicenda – da cui, proprio come in un film di Frank Capra, i buoni usciranno vincitori e i cattivi sconfitti. Per raccontarci questa insolita «fiaba nera», che ha come sfondo un Sud affocato e sanguigno, Andrej Longo si è inventato una lingua che non si identifica con nessuno dei dialetti del Meridione, ma ne contamina più di uno: il risultato è un impasto efficace ed espressivo, vivace e ricco di tutti i colori, i suoni e i sapori dell’estate mediterranea: dal giallo acceso dei girasoli al richiamo ossessivo e quasi minaccioso della tammorra, al gusto forte e deciso del vino Primitivo.

Una interessante articolo, uscito sul Venerdì di Repubblica del 10 giugno 2011, si può trovare qui: Ho scritto un libro in dialetto. Anzi, in cinque o sei

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