La taranta ritrovata di Ludovico Einaudi

Riflessioni sulla Notte della taranta 2010

di Vincenzo Santoro, 28 agosto 2010

ludovico-einaudi-300Ci voleva tutta lo stile e la sensibilità musicale di un artista eterodosso come Ludovico Einaudi per far ritrovare al Concertone della Notte della taranta i caratteri originari dell’evento – a cavallo fra recupero della tradizione e sua rielaborazione contemporanea – mantenendo però un livello di qualità musicale come ci si aspetterebbe da una manifestazione così famosa e celebrata.

Einaudi è riuscito infatti, partendo evidentemente da uno studio approfondito delle “fonti” della musica salentina, nell’arduo compito di elevare un’architettura musicale raffinata ed intrigante, allo stesso tempo rispettosa della tradizione (cioè del suo spirito profondo) ma anche innovativa, con esiti sempre come minimo di buon livello, sia quando a prevalere è stato l’approccio più onirico e suggestivo (potremmo dire tipicamente “einaudiano”), guidato spesso dagli inconfondibili fraseggi del pianoforte, sia quando l’artista torinese ha premuto l’acceleratore sulle contaminazioni più spinte (in particolare etno-trance ed elettroniche).

Per fare questo, ha proceduto a decostruire l’impalcatura sonora derivante dalle esperienze con i maestri concertatori precedenti (evitando così il rischio del continuo déjà vu, cosa che ad esempio non era riuscita a Mauro Pagani), modificando la composizione dell’orchestra, con l’arrivo di nuovi musicisti che hanno arricchito notevolmente la qualità delle esecuzioni e il repertorio, ed eliminando o limitando fortemente la strumentazione “estranea”, che negli anni aveva contribuito a obliterare completamente i caratteri “tradizionali” (in particolare l’ingombrante sezione ritmica, del cui ridimensionamento non smetteremo mai di ringraziare il Maestro).

Altro grande merito di Einaudi (ed evidentemente dei suoi preziosi collaboratori) è stato quello di coinvolgere a pieno i membri “locali” dell’orchestra, che nel Concertone di ieri hanno espresso finalmente una qualità esecutiva mediamente alta, venendo valorizzati nelle proprie specificità artistiche. Anche in questo caso, i risultati sono stati notevoli, e i nostri artisti non hanno certamente sfigurato accanto ai prestigiosi ospiti internazionali, anzi.

Anche le collaborazioni “estere” sono state gestite con sapienza ed efficacia: le emozionanti esecuzioni dei brani in grico di Savina Yannatou, la vocalità estrema e seducente di Dulce Pontes, la rutilante prestanza ritmica dei Tamburi del Burundi hanno contribuito ad arricchire e articolare la scaletta con interventi sempre contestualizzati e mai debordanti. Straordinaria poi l’esecuzione dei Taraf de Haiduks, la cui pizzica “gitana”, magistralmente guidata dal pianoforte del Maestro, ha costituito a mio avviso uno degli episodi più intensi e ispirati della serata. Grande emozione, anche pensando a tutto quello che questo  popolo sta subendo negli ultimi tempi.

Agli episodi più rielaborati, comunque frutto di un progetto musicale approfondito ed evidentemente molto “pensato”, Einaudi ha affiancato diversi brani eseguiti in maniera del tutto tradizionale (o quasi), tra cui citerei almeno la bellissima pizzica a due voci e tamburelli di Enza Pagliara e di Anna Cinzia Villani, e la pizzica tarantata con Mauro Durante al violino e Massimiliano Morabito all’organetto diatonico. Questi accostamenti, oltre ad arricchire la serata di momenti di particolare pregio, ha anche contibuito ad esplicitare maggiormente il senso dell’operazione di “rielaborazione creativa” condotta da Einaudi.

Di particolare rilievo mi sono sembrate inoltre alcune rielaborazioni “minimaliste”, in cui i brani tradizionali sono stati accompagnati da intriganti trame sonore (due esempi a mio avviso di grande livello: Mara l’acqua con Anna Cinzia Villani e il brano eseguito da Giancarlo Paglialunga accompagnato dall’ispirato Ballaké Sissoko con la kora; fascinoso anche se forse un po’ “telefonato” mi è parso Lu rusciu de lu mare con le voci di Alessandra Caiulo, Alessia Tondo, Stefania Morciano accompagnate da Einaudi e da Sissoko).

Emblematico di come Einaudi abbia affrontato la dimensione spettacolare (e mediatica) dell’evento, senza però farsene condizionare eccessivamente (come invece in passato era accaduto ad esempio ad Ambrogio Sparagna), mantenendo sempre il senso della misura, mi è parso l’intervento dei Sud Sound System, che si sono esibiti in una deliziosa (ma assolutamente non enfatica), Beddha Carusa, in realtà un mix di un brano tradizionale e di un loro successo, insieme al grande Claudio Cavallo Giagnotti (protagonista inoltre, con uno strepitoso intervento “etnotrance”, di uno dei momenti più “potenti” della serata, dove si è distinto anche Andrea Presa al didjeridoo).

Interessante infine il contributo dato dai danzatori, che hanno offerto un repertorio completo delle danze salentine, dalla “pizzica scherma” alla “pizzica pizzica” eseguite in maniera tradizionale alle rielaborazioni contemporanee di “neopizzica”, per arrivare alla notevole performance di Maristella Martella.

A voler proprio trovare dei difetti a una serata intensa e di grande livello, si potrebbe indicare una eccessiva durata (27 brani sono troppi) e forse la necessità di una maggiore sintesi in alcuni momenti. Ma sono, appunto, considerazioni marginali, per quello che, a mio modo di vedere, è stato il Concertone più ricco, interessante e riuscito di sempre.

 

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