Il Salento di Giovanna Marini

giovannamarinidi Vincenzo Santoro

da Melissi, Besa Editore, agosto 2004

Giovanna Marini ha conquistato il successo presso il grande pubblico in seguito alla collaborazione con Francesco De Gregori per il cd Il fischio del vapore, distribuito dalla Sony, che è stato – nell’asfittico mercato discografico italiano – uno dei più significativi successi commerciali degli ultimi anni, arrivando a vendere oltre 150.000 copie. In realtà l’artista romana svolge il suo lavoro di musicista, compositrice, insegnante e animatrice culturale da più di quarant’anni, ed è un punto di riferimento imprescindibile per chiunque si occupi di musica popolare in Italia e anche oltre. Un’idea di tutto questo si può avere visitando il sito www.giovannamarini.it.

Oltre alle sue attività usuali, la Marini ha anche svolto negli anni, soprattutto nell’Italia centro-meridionale, diverse “ricerche sul campo” di suoni e canti della tradizione popolare, da utilizzare per i suoi spettacoli e le sue composizioni. Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, ha visitato a più riprese anche il Salento: nel 1969 è a Lecce,

a registrare, insieme a Rina Durante, la splendida voce di Niceta Petrachi detta “la Simpatichina”; nel 1971, a Sternatia, insieme a Sara Scalia, registra le sorelle Mariuccia e Rosina Chiriacò, e Stella De Santis; nel 1972 registra a San Donato di Lecce, e così via. Queste esperienze segneranno profondamente la Marini, che dalle signore salentine viene “iniziata” alle raffinate tecniche del canto di tradizione orale del sud d’Italia. Più volte, nel corso della sua lunga carriera, sia nei racconti che arricchiscono i suoi spettacoli, sia nelle note all’interno dei dischi, l’artista romana riconoscerà il grande debito nei loro confronti.Nel 1971 la Marini, sempre per il prezioso tramite di Rina Durante, venne in contatto anche con il collettivo del Gruppo Universitario Teatrale dell’università di Lecce, che, proprio in quegli anni, stava sviluppando una riflessione intorno alla musica tradizionale. In linea con le indicazioni del movimento del “folk-revival” nazionale (che aveva come riferimento principale il lavoro dell’Istituto “Ernesto de Martino” e del Nuovo Canzoniere Italiano) i canti dei contadini venivano studiati e riproposti in quanto espressione della cultura autonoma delle “classi subalterne”, vista quindi come “antagonista” rispetto alla cultura ufficiale “borghese”. A differenza di quanto succede oggi, in cui ci si avvicina alla musica popolare soprattutto per ragioni estetiche, in quell’ambiente l’interesse per i repertori musicali tradizionali nasceva in primo luogo da una scelta di militanza politica.

Tra il gruppo leccese e la Marini si instaurò un rapporto di scambio e di arricchimento reciproco. I giovani studenti, insieme a Rina Durante, si adoperarono come “mediatori” con i contadini a cui veniva chiesto di cantare e raccontare la musica. Dalla musicista romana invece a loro volta impararono un “modello” di rivitalizzazione e riproposizione dei canti tradizionali, che avrebbero messo poi in pratica nei loro spettacoli. In questo modo nacque il primo gruppo “di riproposta” locale, il Gruppo Folk Salentino, che sviluppò una sua attività di esibizioni e concerti, soprattutto presso le Feste de l’Unità e altri contesti fortemente politicizzati. Il gruppo tentò anche di produrre un album – le cui prove in studio sono ancora conservate da Luigi Lezzi – ma si sciolse prima di riuscirci.

Così Giovanna Marini venne in contatto con la tradizione musicale salentina, in parte dalla viva voce dei “cantori”, in parte per la mediazione dei giovani del GUT. Di ritorno dai suoi viaggi in Terra d’Otranto, cominciò subito a riproporre in concerto alcuni di quei brani.

Nello spettacolo “Fare musica”, che la Marini tenne a Siena il 3 settembre 1973 insieme al gruppo storico del Canzoniere del Lazio, sono inclusi sia Lu povero Antonuccio e Li Bellisi, che sono rielaborazioni delle registrazioni di Sternatia, sia Lu rusciu de lu mare e Fimmini cu Fimmini, che la Marini aveva imparato dagli amici salentini – questi ultimi eseguiti in maniera estremamente fedele agli originali (che in realtà erano già rielaborazioni di Luigi Lezzi). Successivamente, nei diversi dischi a partire dai primi anni settanta appariranno brani di derivazione salentina. In L’eroe – ballata nuova (1974) sono presenti ‘Ntonuccio, I Bellisi e Afedia – Giulia di Fornovo; in I treni per Reggio Calabria (1976) ancora ‘Ntonuccio, Si lui la vole, Sopra na montagnella, All’alba all’alba e Terremoto contadino, tratti sia dalle registrazioni di Sternatia sia da quelle effettuate a San Donato nel novembre 1972. Infine una bella versione di Afedia – Giulia di Fornovo eseguita in concerto a Montreal nel 1985 verrà pubblicata in Trent’anni e più di…, cd antologico del Circolo “G. Bosio” (2002).

La lezione appresa nel Salento costituirà, tra l’altro, uno dei capisaldi dei corsi di canto popolare che la Marini terrà alla scuola di musica popolare di Testaccio a Roma, a partire dal 1974, dove si formeranno tra l’altro decine (se non centinaia) di musicisti che poi daranno vita a loro volta a gruppi musicali di riproposta, e dei corsi di etnomusicologia applicata al canto di tradizione orale italiano tenuti presso l’Università di Paris VIII – Saint Denis dal 1991 al 2000.

Il rapporto straordinario tra una delle più importanti musiciste e compositrici italiane e la terra salentina è documentato nel cd doppio Il Salento di Giovanna Marini, curato da Roberto Raheli e da chi scrive, pubblicato dalle edizioni Aramirè in collaborazione con il Circolo “G. Bosio” di Roma e distribuito dalle edizioni musicali del manifesto.

Il primo cd contiene 26 brani, tratti dai nastri originali registrati dalla Marini a Sternatia e San Donato all’inizio degli anni settanta (purtroppo gli unici che si sono conservati delle registrazioni di quegli anni). Le cassette audio – che contengono non solo parti cantate, ma anche le conversazioni fra la Marini e i cantori – sono state riversate in digitale e depositate presso l’archivio sonoro “F. Coggiola” del Circolo “G. Bosio” di Roma. Successivamente da questi nastri sono stati estratti i brani che, adeguatamente “trattati” e “ripuliti” in studio, sono finiti sul cd.

In queste registrazioni sono compresi più o meno tutti i repertori della tradizione salentina: canti narrativi (Cecilia, La cerva, La storiella di Pierina), di argomento religioso (I Passiuna tù Cristù, Jà-mmu Pantaleu), stornelli e canti d’amore, canti funebri (Lu povero ‘Ntunucciu), filastrocche e scioglilingua. Di particolare interesse sono le due canzoni del poeta grico Cesarino De Santis, cantate dalla sorella Stella (To paisàci-mu e A meru a Lecce sacciu nu paese), in cui un emigrante descrive con note di struggente nostalgia la propria terra, che è stato costretto ad abbandonare per le fredde città del nord alla ricerca di lavoro. Significativamente, sono completamente assenti le pizziche, a conferma del fatto che, nonostante oggi questo tipo di brani siano di gran lunga i preferiti dai gruppi musicali e dal pubblico, in realtà avevano in passato una diffusione estremamente limitata.

Tutti i canti sono eseguiti senza strumenti, con le sole voci (a Sternatia abbiamo in alcuni casi un solo esecutore, in altri due voci; i due canti di San Donato sono invece a due voci femminili e una maschile). Sei dei canti registrati a Sternatia sono in lingua grica, il resto in dialetto romanzo.

Il secondo cd contiene le versioni d’autore già pubblicate sui dischi, i quattro brani – inediti – tratti da Fare musica del 1973 e una versione della Storiella di Pierina registrata appositamente per questo lavoro.

Il raffronto fra i brani contenuti nei due cd permette di valutare l’approccio della Marini alla rielaborazione dei canti tradizionali. La sua attenzione è posta soprattutto alle virtuose tecniche vocali dei cantori salentini, che vengono studiate e riproposte con un’attenzione quasi maniacale. Gli arrangiamenti strumentali, quando presenti, rimangono sempre sullo sfondo, molto semplici, mai invadenti. È quindi l’intrinseca polivocalità di questi repertori che l’artista romana vuole far risaltare. Da questo punto di vista, l’approccio della Marini, così essenziale e “rispettoso” – pur nella naturale autonomia creativa di un musicista – risulta essere assolutamente antitetico a quello che oggi appare predominante, per cui occorre sempre “aggiungere” qualcosa ai canti tradizionali (spesso in maniera assolutamente superficiale) per “contaminarli” e “modernizzarli”.

Giovanna Marini è stata dunque, in qualche modo, la prima artista a “riproporre” in Italia e anche oltre la musica di tradizione orale del Salento, molto prima che venisse pubblicato il primo disco di un gruppo “autoctono” (è del 1977 Canti di Terra d’Otranto e della Grecia Salentina del Canzoniere Grecanico Salentino). Il suo lavoro ha costituito un riferimento essenziale per tutti coloro che, dai primi anni settanta fino alla metà degli anni ottanta, hanno operato nel Salento attorno alla musica popolare. Anche il grande “movimento” di oggi, che si basa in maniera determinante sul lavoro del primo Canzoniere Grecanico Salentino e sulle ricerche di Brizio Montinaro (i cui risultati sono contenuti nei due dischi Musiche e canti popolari del Salento, pubblicati per la mitica serie Albatros nel 1977 e 1978), ha quindi un grosso debito di riconoscenza nei suoi confronti.

Più di trent’anni fa, l’incontro con quei contadini del profondo sud ebbe un impatto forte su Giovanna Marini, perché loro, raccontando e cantando, le permisero di venire in contatto con un mondo, una cultura che fino ad allora aveva quasi ignorato. Di quelle voci e di quel Salento lei si innamorò perdutamente.

Oggi, grazie al suo lavoro, possiamo anche noi lasciarci incantare dalle voci meravigliose delle sorelle Mariuccia e Rosina Chiriacò, di Stella De Santis e dei cantori di San Donato di cui non conosciamo il nome, e abbandonarci ancora una volta alla nostalgia – un po’ paradossale per noi abituati agli sprechi e all’opulenza – di un Salento povero e disperato, ma straordinariamente ricco di umanità.

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