Nel suo libro, lo studioso Vincenzo Santoro ricostruisce i percorsi di un movimento che a partire dal XVII secolo coinvolge gradualmente tutto il Sud d’Italia, estendendosi alle grandi Isole e raggiungendo anche la penisola iberica
di Eraldo Martucci, dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 26 giugno 2021
Il 1948 è un anno particolarmente ricco di avvenimenti fondamentali per la nostra giovane Repubblica. Il 18 aprile ci furono le prime elezioni politiche dopo lo scioglimento dell’assemblea costituente, ed il 14 luglio ci fu l’attentato a Togliatti ad opera dello studente Antonio Pallante. Ed anche grazie alla vittoria di Bartali al Tour de France la tensione di quei tragici giorni iniziò a scemare. E mentre vengono pubblicati per la prima volta “I quaderni del carcere” di Gramsci, nasce a Roma il Centro nazionale per gli studi di musica popolare, che diventa un punto di riferimento per le ricerche sul folklore.
L’anno successivo Ernesto De Martino sviluppa infatti le osservazioni di Gramsci con la formulazione del concetto di “folklore” progressivo, che rilancia il patrimonio tradizionale alla luce di una nuova creatività cosciente e civile. Anche grazie al suo prezioso lavoro di ricerca su costumi, riti e tradizioni musicali nelle comunità contadine del Sud Italia c’è stata «alla fine degli anni ’50 – scrive Ambrogio Sparagna – la nascita di un interessante movimento che ha avuto fra i suoi scopi la riscoperta e la rivitalizzazione della cultura e della musica popolare».
E proprio per questo Ernesto De Martino e la sua equipe vennero nel Salento dal 20 giugno al 10 luglio 1959 per studiare il fenomeno del tarantismo, i cui risultati confluirono due anni dopo nel celebre saggio “La terra del rimorso”. A sessant’anni da quella pubblicazione, imprescindibile punto di riferimento anche nel confronto con le acquisizioni delle ricerche più recenti, esce il nuovo prezioso volume di Vincenzo Santoro “Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale”, Itinerarti edizioni.
Impegnato da anni nella riflessione e nell’organizzazione di iniziative ed eventi sulle musiche e sulle culture popolari del Mezzogiorno, Santoro in questa occasione ha sapientemente tracciato i confini di una cartografia storica del tarantismo mediterraneo, perché è proprio sulle rive di questo mare antico, e in particolare sulle sponde occidentali, che tale “istituto
culturale” sembra avere la sua prevalente area di diffusione, secondo un movimento che si realizza a partire dal XVII secolo, coinvolgendo, dalle origini pugliesi, tutto il Sud d’Italia, le grandi Isole e la Spagna. Un fenomeno, dunque, non prevalentemente salentino e pugliese ma di portata ben più vasta.
D’altronde il clima, la vegetazione, la morfologia, le usanze e i volti del “Mare nostrum” parlano un linguaggio comune, perché l’estensione dello spazio, la peculiarità del paesaggio, la compattezza d’assieme creano l’impressione che il Mediterraneo sia ad un tempo un mondo a sé e il centro del mondo: un mare circondato da terre, una terra bagnata dal mare. Ed ecco allora che il libro ripercorre un viaggio affascinante lungo le coste di un mare che, nell’unire e legare civiltà e popoli diversi, si conferma elemento di connessione e propagazione di culture.
Peraltro, sottolinea Santoro, è lo stesso de Martino a riconoscere in uno scritto successivo che «il tarantismo pugliese appare un fenomeno culturale tutt’altro che isolato», ricordando che si estendeva un tempo in buona parte dell’Italia meridionale, «soprattutto verso le coste», assieme a un tarantismo spagnolo e «analoghe forme africane».
«Una cartografia del tarantismo mediterraneo non può che iniziare da Taranto – scrive l’autore – di fatto il centro jonico nella lunga storia del fenomeno viene molto frequentemente individuato come la sua vera e propria “capitale”, anche per la evidente connessione del toponimo con la voce “taranta” e quella più tarda di “tarantella”. A colpire è anche il fatto che la prassi, almeno in alcuni paesi a sud del capoluogo, si mantenga attiva fino addirittura agli anni settanta del Novecento (in analogia con il Salento meridionale).
Come nel resto della regione, le caratteristiche del tarantismo in questa zona sono abbastanza simili, nonostante specifiche peculiarità, a quello leccese, senza però un elemento fondamentale: il sincretismo con il culto di san Paolo o di altri santi. Sembrano cioè assenti quelle strette relazioni con il cattolicesimo popolare, così determinanti nel tarantismo salentino-leccese, che de Martino ha in qualche modo eretto a “paradigma”».
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