Sul numero di maggio 2017 di Dialoghi Mediterranei, rivista dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo, è stato pubblicato un interessante articolo, firmato dall’antropologo Sergio Todesco, che mostra come alcune tappe “– reali o immaginarie – che San Paolo compie nel corso del suo peregrinare mediterraneo” hanno generato tre distinte tradizioni, rispettivamente relative all’isola di Malta, alla Sicilia e alla Puglia:
“per Malta le serpi e la varia mitologia a esse connessa (la ‘lingua’ e gli ‘occhi’ di serpe) ma anche alcune tradizioni direttamente legate al territorio, trasformato dal soggiorno dell’apostolo in luogo deputato dalle singolari proprietà salvifiche e terapeutiche (immunità territoriale, pietra e grotta di San Paolo, etc.); per la Sicilia, la saga dei ciaràuli, singoli individui o famiglie intere dotati di mirabili facoltà curative e profilattiche, anche qui con un’appendice territoriale incentrata su fonti o pozzi di acque miracolose; per la Puglia (il Salento in particolare) il fenomeno del tarantismo, inglobante aspetti che sono riscontrabili nelle realtà precedenti (immunità territoriale, pozzo di San Paolo e acque curative, sempre in funzione protettiva nei confronti del morso o puntura di serpi, scorpioni, aracnidi).”
L’articolo si può leggere integralmente cliccando qui
Come approfondimenti bibliografici sull’argomento, possiamo proporre, oltre ovviamente al classico La terra del rimorso di Ernesto de Martino, anche l’importante studio di Brizio Montinaro, San Paolo dei serpenti. Analisi di una tradizione (Sellerio 1996). La persistenza salentina di queste tradizioni legate a San Paolo è stata analizzata sia in Giulietta Livraghi Verdesca Zain, Tre santi e una campagna. Culti magico-religiosi nel Salento fine Ottocento, Laterza 1994 (con particolare riferimento alla memoria orale) e nel volume Sulle tracce di san Paolo: verità storiche e invenzioni tarantologiche, di Vincenzo Ligori, Mario Cazzato, Luigi Manni (Regione Puglia, 2001). Infine, segnalo anche il prezioso articolo di Sergio Torsello riguardante un affresco probabilmente tardocinquecentesco, presente nella chiesetta di Santa Maria di Vereto nel Capo di Leuca e raffigurante il Santo in “una posa solenne e minacciosa con il classico attributo della spada attorno alla quale sono attorcigliati due serpenti”, ai piedi del quale “è raffigurato un piccolo bestiario de venenis: un serpente, uno scorpione e, poco più in alto, due serpenti intrecciati a caduceo”. L’articolo, del 2009, si può leggere cliccando qui .