Mario Desiati racconta le radici della pizzica attraverso il nuovo saggio di Vincenzo Santoro
di Mario Desiati
da La Repubblica di Bari del 22 novembre 2009Tempo fa denunciammo il rischio di una deriva cialtronesca della tradizione etno-musicale del Salento. Era il 2005 e la moda della Taranta era al suo acme. Nel dibattito intervenne Vincenzo Santoro, studioso che con rigore ha curato il libro Il ritorno della Taranta per l’editore Squilibri e che il 28 ottobre è stato al centro di un dibattito all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Il saggio non è soltanto la storia della rinascita della musica popolare nel Salento come lascia intendere il sottotitolo, ma soprattutto una disamina attenta e accurata di quello che oggi è presente nell’immaginario contemporaneo del fenomeno musicale e popolare più di tutti sugli scudi. Santoro individua un periodo storico nel quale si consolida il fenomeno: “Con la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta si registra un progressivo ritorno di interesse per i ritmi e i suoni della tradizione da parte di musicisti più giovani che, insieme ad alcuni importanti protagonisti delle esperienze precedenti, iniziano una nuova stagione di revival della musica salentina, dando vita a un nuovo movimento destinato a sviluparsi in maniera tumultuosa negli anni a venire”.
Protagonista di questa rinascita è certamente Edoardo Winspeare, il regista di Depressa, borgo vicino a Tricase, di cui Santoro traccia un profilo biografico e il percorso che ha portato al primo film “Pizzicata”, diventato subito il veicolo più potente a livello nazionale della nuova pizzica. Winspeare è giovanissimo, ha 24 anni nel 1989, quando gira il suo primo documentario “San Paolo e la tarantola”, un medio metraggio che gli permette di conoscere musicisti storici salentini e non di musica tradizionale. Tra tutti i medaglioni in questa pellicola, spicca Luigi Stifani, barbiere e dunque cerusico. E come la tradizione meridionale comanda, il cerusico barbiere è anche un santone, il depositario della cura di un piccolo paese e della sua comunità.
Chi ha visto il frammento di quel documentario di Winspeare in cui appare Stifani, può comprendere il fascino che poteva esercitare quell’uomo anziano, con occhi scuri e profondi, un baffetto demonico e la voce impostata come se stesse recitando. Stifani narra in modo avvincente di come attraverso il suo violino curò oltre 50 tarantolate. Affascinato dalla cultura contadina, Winspeare compara le epserienze del suo Salento con quelle del mondo che lui gira e conosce attraverso l’esperienza di assistente alla regia e fonico. Grazie a queste esperienze, ad esempio, si ritroverà a collaborare a un documentario sugli tzigani in Spagna che molte connessioni sembrano avere con la nostra musica tradizionale. Comincia così un periodo di frenetico attivismo, in cui Winspeare spende molte energie ad organizzare grandi feste in campagna, in cui invita a suonare gli anziani cantori ma anche alcuni musicisti e appassionati più giovani che si sono avvicinati alla musica tradizionale.
Racconta il regista: “La musica salentina non è solo pizzica, ma a noi serviva la pizzica, perché la pizzica smuove, scuote, e noi eravamo interessati non solo agli aspetti musicali, ma anche a quelli sociali. Il canto alla stisa interessa gli intenditori, mentre la pizzica interessa tutti. Con questa scelta abbiamo fatto un gesto politico, perché volevamo cambiare l’idea della nostra terra che avevamo avuto fino ad allora”.
Ma non c’è solo Winspeare con i suoi film e le sue feste. Santoro parte dal film “Pizzicata” del 1995 e arriva ai giorni nostri facendo gli esempi di come nel cinema, nella letteratura, nelle arti visive e ovviemente nella musica contemporanea, anche dei gruppi più giovani, ci siano influssi della Taranta e della nuova pizzica. Poche settimane dopo la pubblicazione di questo libro che ripensa e riposiziona in un quadro storico il “fenomeno Taranta”, è uscito il disco di Raffaella Aprile, una delle sue più intense interpreti. Non è un caso che l’album prodotto da Anima Mundi si chiami “Papagna”, come il fiore che seda e stordisce: un disco tra nenia e ricerca che reinterpreta in una chiave più eterogenea la tradizione della musica tradizionale salentina, alternando stornelli, filastrocche, pizziche.
Ma accanto a questa anima di servizio, nel libro di Santoro ce n’è pure una più pugnace e polemica. L’autore si addentra nei rischi dell’eccessiva deriva turistica del fenomeno; le pagine su cosa sia diventata la festa di San Rocco a Torrepaduli e la leggendaria battaglia delle spade sono amare e malinconiche, il ritratto di questa terra in bilico perenne tra magia e deserto.