Morsi dalla taranta

da Meridiani Puglia, n. 130 – di Jasmina Trifoni

Giovani milanesi che si iscrivono a corsi di ballo, attempate signore che cercano di entrare in trance ai concerti: una strana malattia sembra aver colpito gli italiani. E la “pizzicomania” non ha contagiato solo loro: affermati artisti stranieri fanno a gara per essere i padrini della notte più lunga del Salento. Ma qualcuno comincia a storcere il naso…

Antonio Aloisi, detto Uccio, è nato 75 anni fa in un paesino del Salento, Cutrofiano. Porta sempre la coppola in testa e ha mani grandi, nodose, di uno che ha faticato tutta la vita nelle vigne con la zappa e nei campi di tabacco. In paese, nei giorni di festa, gli è sempre piaciuto cantare pizziche e stornelli accompagnandosi col tamburello perché, dice con una saggezza antica, tutta sua: «Chi non la risente la musica nu tene mancu cervellu». Anche se gli restano pochi denti in bocca, ha ancora voglia di cantare. «Cu leggu sacciu, però se t’aggiu spiegare ci aggiu lettu no capiscu… cu scrivu nu sacciu, sacciu appena lu nome miu». Ovvero, tecnicamente Uccio è semianalfabeta. Si potrebbe facilmente immaginarlo godersi una sana vecchiaia a Cutrofiano con Cetta, la moglie, e con gli amici di sempre.

Eppure il 17 agosto 2003 quello stesso Uccio ha suonato e cantato alla Notte della Taranta, a Melpignano, davanti a 40.000 persone. Accolto da un coro quasi isterico di «Uccio, Uccio…». Proprio come una rockstar. La sua esibizione, alla serata clou del festival musicale che ormai da anni è l’evento dell’estate salentina, è stata ripresa dalla Rai e gli ha procurato interviste e articoli entusiastici sui principali giornali d’Italia. Lui e il suo Gruppu sono stati paragonati al cubano Company Segundo (buonanima) e al Buena Vista Social Club. Non sappiamo se Wim Wenders l’abbia già contattato per un film, ma le edizioni Aramirè di Lecce hanno pubblicato un suo libro intervista, intitolato I colori della terra. E il suo cd, “Robba de smuju”, ha venduto molto, almento per un disco di pizzica.

Musica etnica, di nicchia, si potrebbe obiettare. Ma allora come la mettiamo con il concertone del Primo Maggio in Piazza San Giovanni a Roma? Uccio era sul palco con l’Ensemble Notte della Taranta e l’ex batterista dei Police, Stewart Copeland, che per l’occasione sfoggiava la maglia giallorossa del goleador del Lecce Javier Chevantòn. In diretta tivù, «anvedi come canta Uccio». E come balla al ritmo travolgente della pizzica, quel mare di gente… A molti salentini, gelosi – e non a torto – del loro straordinario patrimonio di musica tradizionale, la nazional-popolarizzazione della pizzica ha dato un certo fastidio. E così pure l’abbigliamento del neotifoso neosalentino Copeland, reo di coprire con la batteria il suono dei tamburelli e, soprattutto, di sfruttare il suo ruolo di maestro concertatore alla scorsa edizione della Notte della Taranta a fini di promozione personale.

La pizzica, ritmo e ballo ancestrale del Salento, è una cosa seria. Il suo nome deriverebbe dal morso della tarantola, capace di indemoniare le persone. Nella tradizione di queste terre esiste la “pizzica tarantata” che veniva suonata dalle cosiddette orchestre terapeutiche e ballata, in una sorta di trance, dalle donne “possedute” dalla tarantola, soprattutto durante la festa di San Paolo a Galatina. C’è la “pizzica scherma”, danzata nella notte della festa di San Rocco a Torrepaduli dagli uomini che mimano un combattimento mortale con i coltelli. C’è, infine, la “pizzica de core”, i cui stornelli hanno spesso versi lascivi, ballata a coppie alle feste nei campi. Un sensuale e ammaliante corteggiamento dove tutto, o quasi, è permesso.

Della pizzica, fino a poco più di dieci anni fa, nel Salento si sentiva solo qualche eco. È la musica della superstizione, della povertà, dell’arretratezza, si diceva. Poi, grazie al lavoro di ricerca di alcuni musicisti e appassionati tra i quali il regista Edoardo Winspeare, che si definisce un “malato di pizzica” (a suo tempo gli era stato consigliato anche un bravo analista) e che ha realizzato, fra l’altro, Pizzicata, un film-manifesto del ritmo salentino, questa terra si è riappropriata con orgoglio della sua musica. Di pari passo, da queste parti si è riscoperto un libro cult dell’antropologia italiana, La terra del rimorso, frutto del lavoro dello studioso Ernesto de Martino sul fenomeno del tarantismo fatto nelle campagne del Salento nel 1959.

Da tutto questo fermento è nata l’idea di creare una manifestazione di musica popolare tra tradizione e contaminazione per far conoscere, magari con l’aiuto di musicisti di fama, il Salento e i suoi ritmi a un pubblico più vasto. Ecco dunque la Notte della Taranta, organizzata da Sergio Blasi, sindaco di Melpignano, in collaborazione con gli otto comuni della Grecìa Salentina e con l’Istituto Diego Carpitella, il centro-studi intitolato al padre dell’etnomusicologia italiana. Nelle varie edizioni sono stati chiamati a fare da maestri concertatori personaggi del calibro di Piero Milesi (arrangiatore di De Andrè in “Le nuvole”e “Anime salve”), di Joe Zawinul (ex tastierista dei Weather Report) e del già citato Stewart Copeland. Di volta in volta i tamburi della pizzica sono stati “sporcati” dall’Orchestra sinfonica Tito Schipa di Lecce, dalle sonorità rom e dai violini della musica Klezmer.

Il successo di quest’idea… beh, è storia. Immaginatevi la serata finale, nella piazza di Melpignano, con l’ex convento barocco degli Agostiniani illuminato, il palco, le bancarelle che vendono cd e magliette e i chioschi per la birra, i panini e le salsicce. E 40.000 persone, di tutte le età, in delirio. Immaginate anche i vecchietti del paese, che non se la sentono di spintonarsi sotto il palco, a mettere sedie e televisore davanti all’uscio di casa (una tivù locale trasmette l’evento in diretta) per non perdersi la pole position. Quanto all’audio, potrebbero pure toglierlo.

Ma il successo della Notte della Taranta e, soprattutto, della pizzica sono più grandi. Tanto grandi che forse sono pure sfuggiti di mano. Uccio Aloisi ne è solo un esempio, e neppure il più vistoso. A oggi, nel Salento, sono censiti oltre cento gruppi musicali che suonano la pizzica. Tra loro, gli Officina Zoè, gli Aramirè, i Mascarimirì, i Menamenamò – per citare i più noti e rispettosi della tradizione -, ma nel numero c’è anche chi si è comprato un tamburello, ha imparato alla bell’e meglio qualche stornello e si è messo a improvvisare. In molte città italiane si organizzano stage e corsi di pizzica, con tanto di diploma. Per curiosità digitate “pizzica” o “taranta” su un motore di ricerca in Internet e ci troverete una raffica di siti, forum e community di “pizzicati”, da Bolzano a Caltanissetta.

Nelle librerie di Lecce e, d’estate, in tutti i negozi di souvenir del Salento, i libri sull’argomento si vendono come panini e la Terra del rimorso di De Martino – che non è proprio Grisham, perfetta lettura da ombrellone – è un bestseller. E le magliette con il logo del ragno e la scritta “Attenzione! Taranta salentina” vanno a ruba. Ma quando l’altro giorno, in giro per Roma, ho sentito le note della pizzica nella suoneria di un telefonino, mi sono detta: d’accordo che quando sei in Salento quel ritmo ti “morde” e non puoi fare a meno di ballare, ma quel che è troppo è troppo. Non è difficile condividerere le preoccupazioni dei puristi, che ormai ne hanno piene le tasche di contaminazioni e massificazioni.

Oggi fervono le polemiche sulla Notte della Taranta 2004 (che avrà dieci appuntamenti e il gran finale il 21 agosto). Tanto che, per mitigarle, gli organizzatori hanno scelto come maestro concertatore un “uomo della tradizione”. È l’organettista Ambrogio Sparagna, allievo prediletto dell’etnomusicologo Diego Carpitella, che sta mettendo insieme une grande orchestra popolare composta solo da salentini. Ciononostante c’è chi crede che, venga pure il Padreterno, bisogna dare un taglio per evitare che la pizzica, diventata prêt-à-porter, passi di moda e vada a finire di nuovo in fondo all’armadio della memoria. Tra tutti gli arrabbiati cito, per autorevolezza e simpatia, lo studioso e musicista degli Aramirè Roberto Raheli, che ha persino composto una canzone o meglio, una pizzica – contro i fautori della “pizzicomania”. Il titolo, Mazzate pesanti, è eloquente, e il ritornello lo è ancora di più: “Mazzate pesanti cu li soni e cu li canti / mazzate pesanti mazzate pe tutti senza santi / su etnicu ncazzatu, na cosa l’aggiu dire / se nu parlamu moi dimme quando imu parla’”.

Da ritmo appassionato, la pizzica scatena grandi passioni. Come quella, lontana dai riflettori, di Biagio Panico, che nel suo laboratorio-bugigattolo con vista sulla campagna, a Torrepaduli, i tamburelli li costruisce. A mano, con il legno di faggio, la pelle di capra e i cimbali di latta tagliati con un torchio che avrà più di cent’anni. È pronto a giurare che ogni tamburello ha un’anima e un suono tutto suo. Adesso che lo strumento va di moda ne fa e ne vende circa 1.200 all’anno. Ma gli si chiede che cosa pensa della “pizzicomania”, Biagio si accende un sigaro e fa un gesto di sufficienza: «Qualcuno ci marcia, e ci fa i soldi… fatti loro». Forse, come sembra suggerire il Che Guevara sul poster alle sue spalle, l’importante è non perdere la tenerezza. Su un braccio, Biagio ha un tatuaggio: è uno strano personaggio stilizzato. Mi racconta che è il “dio danzante”, uno dei graffiti rupestri postpaleolitici incisi sulle pareti della Grotta dei Cervi a Porto Badisco. «Insieme alla mitica taranta è il simbolo del Salento», spiega. «Nei graffiti che ci sono nelle grotte in giro per il mondo gli uomini sono raffigurati mentre cacciano bisonti o mentre fanno la guerra. Questo qui è uno di noi. Non vedi che balla la pizzica?»

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