da cupacupa.it – di Tiziana Sforza
Da alcuni anni a questa parte il Salento è diventato il crogiuolo di un vero e proprio movimento di riscoperta della musica tradizionale e della pizzica, l’antica tarantella che nel mondo contadino scandiva il tempo sacro e il tempo profano. Oggi il movimento coinvolge migliaia di persone che ritornano agli strumenti e ai ritmi della tradizione. Tuttavia la vera novità sta nella rielaborazione di quegli stessi elementi della tradizione, nel rinnovato uso del dialetto, della musica e delle danze etniche. Ma a quali bisogni sociali risponde questo fenomeno? E perché il questo revival comincia proprio tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90? Ma soprattutto, quale rapporto esiste tra la modernità e la tradizione, tra il fenomeno della pizzica e l’attuale proliferare di una cultura che si incentra sul tarantismo e sull’opera di De Martino?
A queste e ad altre domande cerca di dare delle risposte “Il ritmo meridiano” (Aramirè, Lecce 2002), un’antologia di testi a cura di Vincenzo Santoro e Sergio Torsello. Scopo del libro è comprendere i molteplici significati di questo uso postmoderno della tradizione, il senso di questo nuovo bisogno di “reincantamento”. Il testo ospita il punto di vista di un gruppo di studiosi ed intellettuali pugliesi protagonisti della rinascita del movimento. Nei vari saggi proposti, ognuno dà una propria personale interpretazione del movimento, arricchendo il dibattito nato intorno a uno dei fenomeni culturali più interessanti dell’ultimo decennio. Franco Cassano, ad esempio, interpreta il ritmo meridiano come un tentativo di riarticolare il rapporto tra modernità e tradizione, quasi una verifica empirica delle tesi sostenute in uno dei suoi testi più famosi, “Il pensiero meridiano” a cui si ispira anche il titolo dell’antologia. Giovanni Pizza dà invece una lettura squisitamente antropologica e inquadra il fenomeno in un contesto globale, focalizzando l’attenzione su meccanismi e ideologie che sottendono alle dinamiche della produzione culturale, mentre Alessandro Portelli cerca dei punti di contatto nel rapporto tra le pratiche attuali della pizzica e la memoria storica dei salentini. Se Maurizio Merico, nel suo intervento, legge il ritorno della pizzica con le categorie interpretative già introdotte da Franco Cassano (l’identità meridiana) integrandole a quelle “storiche” di Ernesto de martino (il concetto di patria culturale), Giuseppe Gala ci catapulta invece nel campo dell’indagine etno-coreutica e della riflessione critica sulle trasformazioni del ballo della pizzica nel contesto contadino e in quello attuale. Luigi Piccioni si interroga sui rischi che la riscoperta delle identità locali portano con sé, riassumibili nell’alternativa tra “identità per vivere” o “identità per vendere” mentre Roberto Raseli si sofferma soprattutto sulle nuove modalità di riproposta della musica salentina, sospesa tra purismo e contaminazione. Il contributo di Clara Gallini, infine, analizza i meccanismi di costruzione dell’idea di eticità.
INTERVISTA A VINCENZO SANTORO
Abbiamo chiesto a Vincenzo Santoro, uno dei curatori de “Il ritmo meridiano”, di parlarci di questo testo in occasione della presentazione del libro a Roma presso il centro sociale ex Snia Viscosa. Abbiamo cercato di capire da quale ispirazione nasce “Il ritmo meridiano” e come si colloca nel panorama editoriale sulla cultura tradizionale salentina.
D. Perché un libro sul “ritmo meridiano”?
R. Abbiamo interesse a spostare la discussione da una dimensione antiquaria alla realtà contemporanea: vogliamo capire che rapporto esiste oggi tra le fonti tradizionali e la riproposta della pizzica. Il movimento che si sta sviluppando ha grandi potenzialità, ma c’è un rapporto sbagliato con le fonti, che potrebbe portare alla loro distruzione. Penso ad esempio alla festa di San Rocco a Torrepaduli, che da festa sacra e religiosa è diventata un grande raduno di “pizzicaroli”: la festa è stata trasfigurata, vi si ritrovano solo frammenti di tradizioni, con un buon 80% di attività che tradizione non sono. Questo è il tipico esempio di un rapporto sbagliato e distruttivo con le fonti. Il libro nasce dunque come una riflessione su come costruire un giusto rapporto con le fonti della tradizione che porti questi temi a essere fruiti da una grande massa di persone.
D. Come mai il titolo riprende un concetto chiave dell’analisi sociologica di Franco Cassano?
R. La nostra riflessione è sul significato che assumono oggi gli elementi della tradizione, su quale rapporto esiste fra il Salento contemporaneo e quello tradizionale, sul perché si innesca questo movimento e a quali bisogni risponde. In questa riflessione, scaturita prima della stesura del libro, abbiamo incrociato la riflessione di Franco Cassano sul “pensiero meridiano”. La pizzica, a nostro parere, non è altro che una verifica empirica del “pensiero meridiano”.
D. Esiste il pericolo che pizzica, taranta e ritmo meridiano diventino solo una moda?
R. Non bisogna aver paura che il patrimonio tradizionale diventi una moda, non bisogna aver paura di confrontarci con le masse. Spesso gli intellettuali che si sono occupati di questi temi hanno peccato di “settarismo”. Il problema che si pone per i Salentini è il rapporto con le fonti, cioè capire quali sono le caratteristiche che si stanno riscoprendo: la maggior parte dei nuovi gruppi non considera “fonti” gli anziani o i documenti, e si limita semplicemente al riciclo di cose già riciclate che nuocciono alla cultura. Nel Salento si sperimenta di tutto a livello musicale, si producono melodie fatte di contaminazioni, ma non si spiega mai programmaticamente che cosa si sta facendo. L’altro problema è che si cerca di ripescare un tipo di tradizione che faccia vendere: non c’è una copertina di cd, ad esempio, che non riporti le immagini del tamburello e di San Paolo. Quindi non bisogna temere le trentamila persone a Melpignano in occasione della Notte della Taranta, ma piuttosto il fatto che gli organizzatori a Melpignano non spiegano bene quello che stanno facendo, contrabbandando un festival di world music o di etnojazz per musica popolare: ormai non c’è neppure una pizzica suonata come si suona la pizzica. Ci vuole un’operazione di “pulizia”.