da L’Indice dei libri del mese, novembre 2002, pag. 13 – di Susanne Franco
Il tarantismo, fenomeno storico-religioso nato nel medioevo da rituali pagani, è sopravvissuto fino a pochi decenni fa in alcune aree del Sud d’Italia e in particolare nel Salento, dove era diffuso specialmente nel mondo contadino. E proprio nel Salento, negli ultimi anni, è andato sviluppandosi un vero e proprio movimento di recupero di queste musiche e danze “tradizionali”. Il fenomeno interessa oggi migliaia di persone che ritornano agli strumenti e ai ritmi della taranta e della pizzica, spesso ripartendo dal contatto con gli anziani “cantori” rimasti. Parallelamente si assiste a una rinnovata attenzione degli studiosi che da prospettive diverse fanno pur sempre i conti col volume di Ernesto de Martino La terra del rimorso (Il Saggiatore, 1961), la prima interpretazione culturale, storica e religiosa del fenomeno assurta a classico dell’antropologia italiana. Al centro del Ritmo meridiano sono alcuni fondamentali interrogativi: a quali bisogni sociali risponde il fenomeno della rivitalizzazione del tarantismo? In che rapporto stanno il recupero del patrimonio musicale e coreutica e la riflessione teorica? È possibile, a partire dalla rinascita del tarantismo, tracciare le coordinate per la costituzione di un sé politico e culturale? Le risposte vengono fornite da un gruppo eterogeneo di studiosi (tra cui Franco Cassano, Maurizio Merico, Alessandro Portelli e Giuseppe Michele Gala). Ne emergono i punti nodali non tanto e non solo della ricerca sul tarantismo, quanto più in generale della ricerca antropologica italiana, dei suoi esiti e dei suoi sviluppi.
Sotto questo profilo il testo offre un’occasione di reale dibattito tra studiosi. Assai prezioso e incisivo l’intervento di Giovanni Pizza, focalizzato sui meccanismi e sulle ideologie della produzione culturale legata al recupero del tarantismo, mettendo bene in luce i rischi impliciti nelle ricerca etnografica contemporanea, rintracciabili fin dalle pieghe retoriche che accompagnano la produzione critica in materia (e di cui si rilevano alcune tracce anche all’interno degli altri saggi e nello stesso titolo del volume): l’estinzione del fenomeno e il suo ritorno come esperienza di catarsi gioiosa; il mito della civiltà contadina scomparsa; la connotazione primordialista di molte indagini incentrate sul concetto di “ritmo ancestrale”, la critica della modernità attraverso la tradizione. L’auspicio che il testo aiuta a rendere più concreto e vicino è cha la complessità della scena etnografica salentina e le pratiche e i discorsi contemporanei sul tarantismo, per la loro capacità di produrre oggetti culturali, catalizzino in maniera crescente l’interesse di antropologi, etnocoreologi ed etnomusicologi sempre più sensibili alle modalità di produzione di tali oggetti culturali e sempre più consapevoli delle insidie presenti nel concetto di “autenticità” e di “essenza”, nel mito delle origini, nell’orientalismo interno, che tanto hanno minato la passata produzione critico-teorica.