da Nuove Opinioni – di Maria Grazia Bello
L’elegante volume Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, pubblicato dalle Edizioni Aramirè, Lecce, è l’ultimo lavoro a quattro mani di Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, studiosi di storia locale. Il libro viene presentato in questi giorni in diversi comuni della provincia, alla presenza di un pubblico sempre più attento al fenomeno musicale esploso alla fine degli anni novanta.
È evidente che la riscoperta della pizzica non è una moda passeggera, ma che il dibattito culturale intorno ad essa, ed alla musica popolare salentina in genere, sia ormai così articolato, come esplicitato nel libro, risulta sorprendente per il neofita.
Accanto ad un tema centrale che consiste, come affermano gli autori, «nell’analisi del ritorno di interesse per la musica di tradizione nel Salento nel contesto delle dinamiche di costruzione sociale dell’identità locale», si snodano problematiche differenti e ciò è possibile per la natura compendiosa ma efficacissima del volume stesso: dice esaustivi saggi di altrettanti autori, inseriti in una cornice che parte dalla approfondita introduzione dei curatori per consludersi nella puntuale ricerca bibliografica condotta da Torsello.
Il volume si distingue anche per l’eterogeneità degli interventi: non solo studiosi nel senso stretto della parola, ma anche «protagonisti della nascita e dello sviluppo del movimento» con l’intento dichiarato dei curatori di «complessificare l’analisi, coniugare i punti di vista esterni con lo sguardo di chi opera da anni concretamente sul territorio». Ancora, gli interventi si caratterizzano per le differenti tipologie testuali adottate: il prof G. Pizza sceglie la forma epistolare, mentra per E. Winpeare, C. Gallini e S. Blasi, Santoro e Torsello si muovono sul terreno dell’intervista. L’apparato fotografico infine conferisce maggiore incisività al discorso e “ferma” momenti di musica e danza che, attuali o più remoti, scrivono le pagine della nuova storia della pizzica (nuova rispetto a quella demartiniana).
I diversi saggi sono complementari: il prof F. Cassano interpreta il fenomeno come la necessità di sfiggire alla macchina della modernità e di recuperare la propria identità nella tradizione, e quindi nella musica, intesa come condivisione («ci si medica ballando insieme»); per M. Merico ciò avviene anche se il giovano oggi non sempre conosce la distinzione di alcuni elementi tipici della pizzica ed inoltre ha perduto i rapporto con la memoria intergenerazionale. Con G. Pizza il discorso si sposta sulla pizzica come fatto culturale abbracciando i meccanismi della produzione di cultura, a partire da una costruzione critice senza la quale, anche se in buona fede, «gli oggetti prodotti si autodichiarano buoni, benintenzionati, politicamente corretti».
Portelli inserisce il discorso sul tarantismo nel contesto più ampio dello sfondamento internazionale della pizzica e mette in guardia sull’eventualità della manipolazione e dei pregiudizi esotizzanti che rischiamo di creare noi salentini se non lo «ricollochiamo dentro la nostra stessa storia»: infatti «non possiamo dare senso alla musica senza cercare di darle una funzione nel tempo e nel luogo in cui avviene e con la gente che ci vive». Nel saggio di L. Piccioni troviamo una continuazione del discorso: lo studioso insiste sul problema del far convivere le peculiarità della pizzica con un loro uso coerente ed efficace. Sposta l’attenzione sugli intellettuali ed amministratori, ai quali spetta il compito di operare in modo consapevole, «cercando di comprendere il più esattamente possibile i rischi ma anche le potenzialità del progetto locale e orientando le proprie scelte versi determinati esiti ed usi del discorso identitario piuttosto che verso altri».
Con Roberto Raheli ci spostiamo nel campo della ricerca musicale dove incombe il pericolo che la tradizione possa morire «in mancanza di conoscenza e padronanza dei canoni musicali salentini». Il rimedio è però evidente: «scavare, tornare indietro […] per poter ricomporre saldare o ricostruire il filo spezzato della tradizione e da lì ripartire in avanti a ricercare l’innovazione della nostra musica».
Il saggio di G. Gala permette di addentrarsi nell’indagine “etnocoreutica”, con una breve descrizione riguardante le figurazioni ed i moduli cinetici ricorrenti. Seguono delucidazioni in merito alle nuove pizziche: “pizzica de core”, “Slow”, “Trance”, “Energico” e “Techno-pizzica”. Conlcude il lavoro un’attenta riflessione sull’impresa culturale e sul “poi”, in vista di un turismo sempre più di massa che può denotare diversamente la pizzica: agli operatori culturali e ai politici resta la grande responsabilità di tutelare il patrimonio demologico.
Il libro è uno strumento indispensabile per conoscere le dinamiche di un fenomeno compesso, e, attraverso queste, scandagliare il presente. È un libro per tutti, ma soprattutto per chi ritiene di dover trovare ancora tante risposte per la costituzione di un sé politico e culturale che si configuri come un “noi” simbolico.