Il “paradigma galatinese” nel tarantismo mediterraneo di Vincenzo Santoro

il galatinoIl “paradigma galatinese” nel tarantismo mediterraneo di Vincenzo Santoro
a cura di Daniela De Santis, da “Il Galatino”, Anno LIV – n. 12 – 25 giugno 2021, p. 3

Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale, Ed. Itinerarti, è l’ultimo lavoro di Vincenzo Santoro, profondo conoscitore del tarantismo e autore di numerosi contributi sulle musiche e culture popolari del Mezzogiorno. Tra sue numerose pubblicazioni, riferimenti imprescindibili per lo studio e la ricerca sui temi della musica popolare ricordiamo Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento (con Sergio Torsello), Aramirè 2002; Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina, Squilibri 2009; Rito e passione. Conversazioni intorno alla musica popolare salentina, Itinerarti 2019.

Ne Il tarantismo mediterraneo Vincenzo Santoro traccia i confini di una cartografia storica del tarantismo a sessant’anni dalla pubblicazione della Terra del rimorso di Ernesto de Martino. Grazie al confronto con le acquisizioni delle ricerche più recenti, l’autore approfondisce la diffusione del fenomeno del tarantismo nel Mediterraneo occidentale, secondo un movimento che si realizza a partire dal XVII secolo, coinvolgendo, dalle origini pugliesi, tutto il Sud d’Italia, le grandi Isole e la Spagna. “Una rete rituale mediterranea che dal tarantismo eclettico delle fonti antiche giunge alla formazione di uno stereotipo etnico, attraversando l’esteso interesse che il morso della tarantola e i suoi effetti sorprendenti hanno suscitato e continuano a produrre: particolare ed esemplare caso della risposta dell’uomo ai continui accidenti che la natura gli procura”.
Scorrendo l’indice del volume, infatti, si intraprende un itinerario che parte da Taranto, attraversa il Salento, giunge in Calabria e ne esplora il versante tirrenico, infine tocca le isole. Terminato questo lungo excursus, l’autore tratta del “paradigma galatinese del tarantismo” e della “femminilizzazione” del fenomeno.
Abbiamo chiesto a Vincenzo Santoro di delineare, nella sintesi riportata di seguito, il particolare aspetto della storia degli studi che si riferisce alla nostra città e spiegarci in che modo le ricerche condotte da de Martino abbiano contribuito a creare questo “paradigma” geograficamente ristretto, inserito nel più ampio fenomeno mediterraneo.
“Nella Terra del rimorso (1961), la celebre monografia che dedicò al tarantismo, Ernesto de Martino, pur con frequenti rimandi ad un quadro storico e geografico più ampio (l’intera Puglia e almeno tutta l’Italia meridionale, le grandi isole e la Spagna, dove il rituale era ampiamente diffuso), propose un’interpretazione del fenomeno incentrata su quello che potremmo definire “il paradigma galatinese”, cioè relativo a un tarantismo in cui sulle pratiche più antiche si era realizzato l’innesto del culto di san Paolo come patrono dei tarantolati e del pellegrinaggio presso la cappella dedicatagli nel centro salentino per la conclusione del percorso di cura. Oggi sappiamo, grazie a studi recenti con molta più certezza di sessanta anni fa, che l’incontro del tarantismo con codificate pratiche devozionali mutuate dal cristianesimo “popolare” si è compiuto ed ha avuto certi esiti – peraltro in tempi relativamente recenti, cioè a partire dalla fine del ‘700 – solo in un particolare ambito leccese. Basta spostarsi di poche decine di chilometri, ad esempio nel tarantino meridionale o in gran parte del brindisino, e si ritorna ad un tarantismo originario, senza la presenza di san Paolo e senza nessuna figura analoga. E le stesse considerazioni valgono per tutti i tarantismi extra-pugliesi. Probabilmente l’etnologo napoletano diede centralità a tale specifica declinazione del fenomeno perché esclusivamente quella è stata oggetto di ricerca sul campo, come è noto ispirata dall’impatto con alcune fotografie riprese qualche anno prima all’interno della cappella paolina da Andrè Martin. Le azioni inquietanti e fortemente nevrotizzate che si svolgevano in quel piccolo edificio (che, lo vorrei ricordare, anche agli organizzatori delle recenti controverse “rievocazioni storiche”, non includevano mai l’uso della musica), ultimi “relitti” di un tarantismo ormai decadente, dovettero colpirlo molto, anche per i drammi umani e sociali che sottendevano: una manifestazione clamorosa della miseria patita dalle classi subalterne del Mezzogiorno. Da quello che si evince dalle dense discussioni preliminari alla spedizione del 1959 (pubblicate alcuni anni fa nel prezioso volume Etnografia del tarantismo pugliese), probabilmente de Martino e i suoi collaboratori valutarono di estendere la ricerca sul campo anche in zone più distanti dall’area galatinese e neretina, ma purtroppo ciò non avvenne, privando la ricognizione di testimonianze ancora in quegli anni ricchissime e quindi l’interpretazione del fenomeno di un termine di paragone prezioso. Se una incompletezza del genere per l’équipe demartiniana è significativamente imputabile a tempi e risorse limitati, risulta davvero difficile comprendere perché – a parte pochi casi, comunque molto parziali – nessuno dei tanti che si interessarono dopo di loro alle stesse pratiche, nel periodo in cui ancora il rito era in azione, abbia cercato di produrre una sistematica ricerca sul campo anche in territori pugliesi diversi ma limitrofi a quelli indagati nella Terra del rimorso”.
Il volume, di cui consigliamo la lettura, è legato per genesi e temi a Percorsi del tarantismo mediterraneo, titolo curato dallo stesso Vincenzo Santoro, in uscita per i tipi di Itinerarti, con interventi di Sergio Bonanzinga sul tarantismo siciliano; Goffredo Plastino sul tarantismo in Calabria; Marco Lutzu su musiche e danze nell’argismo sardo e Gino L. Di Mitri su percezioni multisensoriali e teatro della possessione nel tarantismo d’età barocca.

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