La Focara di Novoli fra “identità” locale e promozione territoriale

IMG_20190117_060140-1024x954Riporto qui una mia intervista pubblicata sulla rivista Lu Furgularu, attualmente in distribuzione in occasione della grande Festa di Sant’Antonio Abate a Novoli, nel leccese  diretta da Antonio Toscano, che ringrazio per l’attenzione.

Dottor Santoro, fra religiosità e tradizione, Novoli è indissolubilmente legata al suo Patrono, Sant’Antonio Abate. Può una festa di paese attrarre flussi turistici?

Assolutamente sì. La festa di Sant’Antonio Abate con la tradizionale Focara rappresenta un caso emblematico di quello che l’Unesco definisce il “Patrimonio Culturale Immateriale”, che, adeguatamente valorizzato, può produrre interessanti ricadute in termini di generazione di valore sociale ed economico. Mettere in campo azioni di valorizzazione efficaci e coerenti non è però facile, in particolare per un evento come quello della Focara, che vede grandi masse di gente venire in un solo momento dell’anno, cosa che può creare problemi di gestione e rischi di snaturamento. Una prima cosa importante da fare, ad esempio, sarebbe di cercare di far fruire questo “patrimonio” anche nel resto dell’anno. Un esempio virtuoso, che ha degli elementi di similitudine con una realtà come Novoli, è rappresentato da Mamoiada, piccolissimo comune del centro della Sardegna (in piena Barbagia) famoso per le sue straordinarie maschere del Carnevale, gli enigmatici e inquietanti Mamuthones. Da alcuni anni a Mamoiada opera un Museo delle Maschere Mediterranee, che, gestito in maniera esemplare da una cooperativa nel quadro di un partenariato pubblico privato, ha ottenuto risultati di grande rilievo: circa 28.000 visitatori paganti – con i biglietti a 5 euro – nel 2018, la generazione di altri due musei territoriali (il Museo della cultura e del lavoro e il Museo dell’archeologia e del territorio), la connessione con altri Comuni del circondario ma anche con gli attori della importante cultura enogastronomica locale (è la terra dei migliori Cannonau), l’organizzazione di MaMuMask, il primo festival internazionale delle maschere del carnevale, una serie di azioni di animazione di grande successo. Con ricadute molto importanti sull’economia di un territorio che è fra i più depressi dell’Isola. Ecco, se dovessi indicare a Novoli una strategia da imitare con intelligenza e con tutti gli adattamenti del caso, farei riferimento proprio al caso di Mamoiada.

 

Qualcuno nel recente passato ha sentenziato che con la cultura non si mangia. Lei come ha reagito a tale affermazione?

Mi pare una solenne sciocchezza, in particolare in un Paese come l’Italia. Ma credo che neanche chi ha pronunciato quella frase ci credesse fino in fondo – e infatti ha più volte dovuto spiegarsi meglio fino di fatto a ritrattare.

 

Il Salento resiste alla mercificazione turistica. In che modo si potrebbero svelare luoghi inconsueti e sconosciuti ai più, che le frettolose frotte di turisti non possono scovare?

Il Salento, grazie alla convergenza fra le azioni degli operatori di base e gli interventi pubblici, pur fra evidenti contraddizioni e ritardi, è cresciuto molto in questi ultimi anni come meta di turismo culturale, proprio puntando sulle proprie peculiarità territoriali: il caso più eclatante riguarda tutto il movimento nato intorno alla riscoperta e valorizzazione della “pizzica” e delle musiche e delle danze tradizionali, che ha raggiunto una enorme visibilità mediatica e una notorietà internazionale, e che convoglia sul nostro territorio una grande quantità di turisti e appassionati. Ora a mio parere occorre puntare con più decisione a fare crescere l’offerta rivolta a questo genere di turismo, proponendo un “racconto” del territorio che vada oltre le località più gettonate e attivando strategie di valorizzazione integrata – cioè che mettono insieme più elementi e più attori della filiera culturale – di area vasta, cosa che finora non mi pare sia riuscita. Vedo due problemi fondamentali da affrontare. Uno è certamente la grande difficoltà per i vari soggetti, istituzionali e non, di uscire dall’ombra dei propri campanili e dai percorsi già tracciati, pensandosi non come tante monadi ma come parti di un sistema. L’altro è il tema della gestione e della sostenibilità: oltre a restaurare ed approntare siti, musei, monumenti ecc, occorre capire come poi queste strutture riescono a rimanere aperte per il pubblico nel medio periodo, se possibile, fatte sempre salve le esigenze della tutela, offrendo ai visitatori percorsi di fruizione e servizi al passo con i tempi. Anche in questo caso mi pare che per ora di casi soddisfacenti ce ne siano pochi: nel Salento mi vengono in mente, su piani diversi, il lodevole esempio dei siti culturali del comune di Poggiardo le attività svolte dal Fai, l’interessante esperimento del Parco Culturale Ecclesiale “Terre del Capo di Leuca – De Finibus Terrae”. Per raggiungere questi obiettivi sarebbe peraltro necessario lavorare di più sull’integrazione fra soggetti pubblici e privati (non profit e profit), cosa che potrebbe anche comportare un interessante impatto occupazionale.

 

Cosa può fare la Commissione Nazionale Cultura A.N.C.I., di cui lei è autorevole dirigente e che annovera anche tra i suoi componenti un giovane nuvolese, Antonio Toscano, per inserire le secolari tradizioni del nostro paese in contesti più vasti?

La Commissione Cultura dell’Anci cerca di rappresentare le istanze dei Comuni presso i vari interlocutori istituzionali, a partire dal Mibac e dal Parlamento. Una delle questioni su cui da sempre più viene messa l’attenzione è proprio quella di pensare le strategie nazionali a partire anche dalle esigenze degli enti più vicini al territorio, cioè i Comuni, valorizzando la tante buone pratiche che, dalle grandi Città d’arte ai piccoli Borghi virtuosi, in questi anni sono state attivate, anche nel campo della valorizzazione del patrimonio immateriale. Su questi temi abbiamo avanzato anche al nuovo Ministro Bonisoli delle proposte concrete, che speriamo possano essere accolte nel migliore dei modi.

 

Lei è per una Focara che viene realizzata nel rispetto della tradizione, come è stato per secoli, o per un falò contaminato da orpelli artistici, come negli ultimi anni?

In generale penso che le modalità di valorizzazione questo genere di patrimoni culturali dovrebbero essere tali da conservarne i caratteri peculiari, per come si sono stratificati nei secoli: sono proprio queste peculiarità ad attrarre un’attenzione duratura e a spingere ad una visita. Mi pare dunque rischioso e alla lunga controproducente puntare eccessivamente sullo spettacolo “accessorio”, secondo direzioni forse troppo distanti dallo spirito della festa originaria, e in una logica di sempre maggiore gigantismo di un evento che, concentrato in uno spazio temporale ristrettissimo, pone anche notevoli problemi di gestione; con ricadute che, se valutate in una logica non solo di breve periodo, ma paiono in buona sostanza limitate ed effimere. In particolare, ritengo che sarebbe necessario lavorare maggiormente sugli elementi che connettono la festa alla comunità novolese che la ricrea ogni anno e che in definitiva dovrà gestirla e tenerla viva anche in futuro, per “donarla” ai visitatori e consegnarla alle prossime generazioni. Se proprio dobbiamo trovare uno slogan riassuntivo, direi “meno eventi più comunità”.

 

 

 

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