Il tarantismo in Sicilia

magnesSull’utimo numero di AM, Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica (n. 41-42) è stato pubblicato un corposo e approfondito saggio di Sergio Bonanzinga (professore di Etnomusicologia e Antropologia della musica presso l’Università degli Studi di Palermo) dal titolo Il tarantismo in Sicilia. Declinazioni locali di un fenomeno culturale mediterraneo. Si tratta della prima indagine sistematica sulla diffusione nell’isola di questo antico rituale, in cui una accurata disamina delle testimonianze storiche (anche inedite o poco note) viene integrata con una serie di elementi derivanti da ricerche sul campo, costruendo un affresco storico affascinante e molto convincente.

Il saggio comincia dalla più antica testimonianza sul tarantismo in Sicilia, che come è noto è dovuta al gesuita Athanasius Kircher (1601-1680)(1). Nel suo trattato Magnes sive de arte magnetica (1641), padre Kircher riporta il testo e la melodia di una ottava siciliana, segnalando che a questo si affiancavano altri “ritmi” di provenienza isolana, fornendone anche un esempio (senza in questo caso la melodia). Le prime notizie inequivocabili che attestano l’esistenza del fenomeno sull’Isola sono però dovute al naturalista e filosofo Tommaso Campailla (1668-1740), che riferisce di un episodio nel territorio dell’antica Contea di Modica, di cui verosimilmente aveva avuto visione diretta. Vengono poi riportati due casi concretamente osservati di “latrodectismo”. Il primo, riferito dal poeta dialettale Giovanni Meli (1740-1815), riguarda Antonio Scrivano, sacerdote di Cinisi, che il 20 giugno 1771 «fu punto leggiermente da un ragnatello nella protuberanza della spalla sinistra», cosa che gli provocò dolori acutissimi, accompagnati da tremori e convulsioni. Dopo vari tentativi, il medico decise di assecondare il malato, che chiese di bere vino. Questa singolare “terapia enologica”, a quanto pare, si rivelò particolarmente efficace. Secondo Bonanzinga, tale episodio non pare riferibile ad una reale tradizione di tarantismo, ma solo alla patologia connessa al morso di un ragno, e sarebbe la testimonianza di un erudito che cerca di sperimentare «su pratiche e credenze ben note ma non radicate nel contesto locale e di cui egli stesso possedeva una conoscenza perlopiù mediata dalla letteratura sull’argomento». Il secondo caso, in cui invece è evidente il tema della cura coreutico-musicale, riguarda Corleone. Un documento ritrovato di recente infatti riporta la notizia del pagamento, da parte di un amministratore di un ospedale del centro del palermitano, di due violinisti, Vincenzo Lipari e Nicolò Crescimanno, per aver suonato, nel luglio del 1809, per 4 giorni ad un uomo al fine di «guarirlo d’un morsico avuto d’un aragno». Bonanzinga sottolinea l’importanza di questa testimonianza, che dimostra come fosse considerato del tutto normale pagare dei musicisti – peraltro un compenso notevole, corrispondente quasi allo stipendio mensile che percepiva il personale non medico –  per curare un tarantato all’interno dell’ospedale.

Successivamente, il saggio analizza una serie di fonti riprese dalla letteratura folklorica oppure da studi specificamente etnomusicali. Dalle indagini di Giuseppe Pitrè (1841-1916) e Salvatore Raccuglia (1861-1920) apprendiamo che la musicoterapia era ancora episodicamente praticata nella seconda metà dell’Ottocento (in particolare a Racalmuto e Villafrati). Ad arricchire il quadro si possono aggiungere le preziose notizie fornite da Alberto Favara (1863-1923), che riporta cinque versioni, trascritte su pentagramma, della canzone a ballo con incipit Mi pizzica, raccolte all’inizio del Novecento a Palermo, Trapani e Castellammare. In questo caso gli strumenti segnalati sono il violino e il flauto di canna. Il fenomeno sembra poi inabissarsi alla fine dell’Ottocento, quando se ne perdono gradualmente le tracce.

Questa importante ricerca fa emergere come il tarantismo siciliano, rispetto a quello della  sua “area elettiva” – e in particolare al fenomeno osservato e studiato da Ernesto de Martino nella sua celebre indagine salentina – abbia alcune caratteristiche in comune, ma anche delle importanti diversità. Infatti sull’isola il fenomeno coinvolgeva in prevalenza uomini (anzi, «nessuna testimonianza fa esplicita menzione di donne “tarantate”»). Inoltre, non ci sono collegamenti rilevabili fra il tarantismo e forme devozionali, come accade nel Salento leccese (ma, non dimentichiamolo, non nel resto della Puglia) per il culto di san Paolo. Infine, non vi sono indicazioni di interdizioni da parte della Chiesa, mentre «anche in ambienti ecclesiastico-confraternali si faceva ricorso alla terapia coreuticomusicale per curare i “morsicati”». Questa analisi comparativa viene estesa anche alle attestazioni del fenomeno provenienti da altri territori, prendendo come testi di riferimento non solo il classico La terra del rimorso di Ernesto de Martino, ma anche – e questo è a mio parere un aspetto da apprezzare del saggio – gli studi di Annabella Rossi riguardanti la Campania(2) e di Clara Gallini sull'”argismo” in Sardegna(3). Ne derivano, anche in questo caso, interessanti similitudini e differenze, che contribuiscono a delineare un fenomeno che sembra articolarsi in maniera peculiare a seconda dei territori in cui attecchiva.

Infine, anche per completare il confronto con la Puglia, viene documentata la significativa presenza nella tradizione popolare siciliana dei ciràuli, guaritori che, grazie all’intercessione di san Paolo, avevano la facoltà di sanare dai morsi dei rettili e degli animali velenosi. Delle pratiche molto diffuse(4), che però pare non siano entrate mai in esplicito contatto con i rituali connessi al tarantismo.

Dall’insieme delle testimonianze relative alla Sicilia, risulta che lo strumento musicale usato prevalentemente per la terapia era il violino, a volte associato al tamburello e al flauto di canna. I musici-terapeuti dovevano appartenere in maggioranza alla classe dei barbieri. In questo caso le analogie con il Salento sono notevoli: a parte la figura fondamentale di Luigi Stifani, barbiere violinista di Nardò che capitanava l’orchestrina terapeutica studiata da Ernesto de Martino e Diego Carpitella, le fonti storiche ricordano a più riprese il violino come strumento – almeno dalla fine dell”800 – largamente usato per la terapia. Anche nelle rilevazioni sonore effettuate da Alfredo Majorano(5) nelle campagne di Lizzano nel 1950 emerge la presenza di un violinista (il cui strumento è conservato presso il Civico Museo Etnografico di Taranto, insieme a un tamburello usato nel rito), e pratiche simili sono documentate nella seconda metà dell’Ottocento per la zona fra Lecce e Brindisi(6) e, in epoche più recenti, per San Vito dei Normanni(7).

Molto interessanti e utili risultano essere i documenti riportati in appendice, riguardanti musiche in qualche modo collegate con le pratiche terapeutiche, tratti dalla letteratura storica e dalle ricerche sul campo effettuate anche dall’autore.

Nel paragrafo conclusivo del saggio, viene delineata una ipotesi suggestiva e abbastanza sorprendente, sicuramente da approfondire: che il tarantismo siciliano, declinato nelle sue «forme classiche» alla fine dell’Ottocento, sia riaffiorato parzialmente «entro certi scenari rituali – già storicamente radicati e tipici della religiosità popolare isolana – che ne ereditano le regioni profonde». In particolare, vengono individuate come esempi di questa «migrazione» alcune «azioni processionali caratterizzati da andamenti decisamente “irregolari”,  in cui le sacre immagini vengono trasportate sia a passo di danza sia correndo e imprimendo ai fercoli intense oscillazioni», al suono della «musica “giusta”» che in queste circostanze è fornita dai locali complessi bandistici e a cui i devoti partecipano «gridando acclamazioni e declamando litanie». Di queste azioni processionali vengono forniti alcuni esempi, diffusi ancora oggi in diverse località dell’isola.

Il lavoro di Sergio Bonanzinga restituisce dunque una minuziosa e ben documentata ricostruzione della diffusione del tarantismo in Sicilia, che, oltre a fornire agli studiosi e alla folta comunità degli appassionati di questioni tarantolesche innumerevoli notizie e informazioni utili e tanti spunti di riflessione, conferma ancora una volta la fondatezza dell’intuizione demartiniana sulla natura profondamente “mediterranea” di questo fenomeno che, dopo tanti secoli, continua ad affascinarci.

1) Le pagine dedicate al tarantismo a metà del XVII secolo da Athanasius Kircher e dal suo allievo Caspar Schott sono state recentemente tradotte e pubblicate in edizione critica dalla musicologa Daniela Rota, nel volume I gesuiti e le tarantole, Libreria Musicale Italiana 2012. A questo indirizzo si può leggere une recensione dell’opera di Sergio Torsellohttp://lnx.vincenzosantoro.it/2014/04/27/le-favolose-tarantelle-di-athanasius-kircher/

2) Annabella Rossi, E il mondo si fece giallo. Il tarantismo in Campania, Jaca Book-Qualecultura, Vibo Valentia 1991. Un mio articolo su questo importante libro su può leggere qui: http://lnx.vincenzosantoro.it/2018/02/18/annabella-rossi-e-il-tarantismo-in-campania/

3) Clara Gallini, I rituali dell’argia, Cedam, Padova  1967; La ballerina variopinta. Una festa di guarigione in Sardegna, Liguori, Napoli 1988

4) Un recente saggio sulle varie tradizioni legate ai poteri curativi di san Paolo rispetto ai morsi di serpenti e altri esseri striscianti si può leggere qui: http://lnx.vincenzosantoro.it/2018/01/30/serpi-scorzoni-tarante-mitologie-di-san-paolo-da-malta-al-salento-passando-per-la-sicilia/

5) A questo indirizzo si può leggere un mio articolo sulle ricerche di Alfredo Majorano e ascoltare la registrazione originale della Taranta di Lizzanohttp://lnx.vincenzosantoro.it/2017/05/08/la-prima-registrazione-di-una-pizzica-tarantata-lizzano-1950/

6) L’erudito salentino salentino Luigi G. De Simone riferisce dell’attività di Francesco Mazzotta, violinista cieco originario di Novoli, che insieme alla tamburellista Donata dell’Anna di Arnesano, percorreva ville e casali dell’alto Salento per praticare le terapie musicali. Cfr. Luigi G. De Simone, La vita nella Terra d’Otranto, Rivista Europea, a. VII, vol. III (1876), pp. 341 sgg. (ripubblicato dagli Editori del Grifo nel 1996, a cura di Michele Paone)

7) Cfr: Fernando Giannini, Tre Violini Inediti del tarantismo, Kurumuny 2002

 

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