Don Tonino Bello: un ricordo laico

Manifesto di pace

Manifesto di pace

Venerdì prossimo (20 aprile 2018) saranno 25 anni dalla scomparsa di don Tonino Bello. Ad Alessano, dove è sepolto, arriverà addirittura Papa Francesco per l’occasione, segnando con la sua presenza una vicinanza significativa e per molti aspetti clamorosa. Ho pensato che potrebbe essere utile, per comprendere la straordinaria figura di don Tonino, ascoltare anche un punto di vista laico. Riprendo dunque a questo scopo il commosso ricordo che scrisse il compianto Tom Benetollo, a quel tempo presidente nazionale dell’Arci, per un libricino che nel 2001 curai per Manni, dove raccolsi i potenti articoli che don Tonino scrisse,  fra il 1990 e il 1992, per il giornale “comunista” il manifesto. Sorprendendo un po’ tutti, anche me allora molto impegnato nei movimenti della sinistra studentesca e giovane lettore di quel quotidiano (allora che un vescovo scrivesse sul manifesto era una cosa ancora abbastanza eclatante): in una occasione mi capitò di incontrarlo ad Alessano, e lo salutai, dicendogli che avevo molto apprezzato alcuni di quegli articoli. Lui, con un sorriso mi rispose che sui certi temi è indispensabile dialogare con tutti coloro che ce lo chiedono. 

Nel suo scritto Benetollo si sofferma in particolare sull’impegno di don Tonino per la pace, la non violenza, l’obiezione di coscienza e l’obiezione fiscale alle spese militari, e sulla sua capacità di praticare queste “battaglie” intrecciando la “sua profonda religiosità” con chi “porta dentro una religione civile: in un cammino comune”.

Benetollo aveva conosciuto don Tonino nei primi anni Ottanta:

quando eravamo impegnati contro i missili nucleari. Un tempo di durissima confrontation tra Est e Ovest, quando il movimento per la pace era accusato di fare gli interessi dell’Unione Sovietica. Poco importava, ai nostri critici, se nei nostri documenti e nei nostri slogan, chiedevamo il disarmo nucleare in tutta Europa, e il nostro No era indirizzato sia ai Cruise e Pershing 2 della Nato, sia agli SS 20 del Patto di Varsavia. Ebbene, in quel momento, a riconoscere il valore dell’impegno di tanti giovani presero la parola Tonino Bello e altri preti coraggiosi come lui. Fu una scelta di enorme importanza, di cui Tonino sentì tutta la responsabilità – e il peso. Una scelta che – lo ricordo– gli costò anche critiche ingiuste, che seppe però padroneggiare con grande sapienza.

In seguito, si trovò molte volte a collaborare con lui nell’ambito del movimento per la Pace:

nel 1988, ci incontrammo, insieme ad altri, per decidere di dar vita all’Associazione per la Pace. […] Erano riprese (nel 1985 e proprio nel 1988) le Marce Parugia–Assisi, delle quali […] era un riferimento costante. Tonino Bello aiutò la crescita culturale, l’eticità del movimento in un modo indelebile, in quella fase cruciale. Fu in quel clima che realizzammo – Acli, Arci, Associazione per la Pace—la straordinaria esperienza di Time for Peace a Gerusalemme: quelle trentamila persone intorno alle mura della Città Santa hanno rappresentato (rappresentano, tanto più oggi) un fatto unico. Vennero poi altre sfide: dalla caduta del Muro di Berlino, fino alle Guerra del Golfo.

Si ritrovarono anche durante la tragedia della dissoluzione della Jugoslavia:

Una sequenza d’orrore destinata a durare anni e anni. Mi ritrovai con lui in varie occasioni. Una in particolare mi colpì, ospiti entrambi di Pax Christi, in un clima di grande commozione e di intensa condivisione. In tanti anni passati come volontario nei Balcani, il dialogo con lui è stato tra i ricordi più belli.

Nel suo ricordo:

Tonino Bello era un intransigente antirazzista, professava idee di uguaglianza che non livellavano mai le persone. Capiva bene le differenze, e cercava di smantellare la cultura del sospetto, dell’odio – attraverso la conoscenza, il rispetto delle persone. Era vivo in lui il valore dell’accoglienza.

Lo scritto di Tom Benetollo si conclude con queste parole, che mi paiono tanto attuali:

Resta tutto, di Tonino Bello. Non soltanto perché, nella memoria di chi lo ha amato, nulla si dimenticherà. Soprattutto perché ciò che è fatto della sostanza dell’integrità, non deperisce. Se posso dirlo: ne ha bisogno la sua terra, innanzitutto, e insieme ad essa il nostro paese, dove la desertificazione etica, culturale e sociale è un rischio crescente. Vorrei che si sentisse la sua determinazione a costruire condizioni nuove: dal lavoro, alla cittadinanza attiva.
La sua città è fiera di questo figlio, che l’ha fatta conoscere, anche in luoghi lontanissimi, come luogo – chiave della pace. Ne ha tutte le ragioni.

L’articolo integrale si può leggere cliccando qui

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