Vinicio Capossela e il “Te Deum dei calabresi”

caposselarendanoVinicio Capossela, nel corso del suo concerto al teatro “Rendano” di Cosenza del 17 dicembre, ha proposto a sorpresa una bellissima versione di un vecchio canto giacobino risalente alla rivoluzione napoletana del 1799, il Te Deum dei calabresi.

Scritto in un dialetto calabrese stilizzato dal poeta e pittore Gian Lorenzo Cardona, nato a Bella in Lucania nel 1743, vissuto a Napoli dove fece parte del movimento giacobino, immediatamente dopo la strage dei protagonisti della Rivoluzione napoletana attuata dall’ammiraglio inglese Nelson, il brano fa diventare una classica preghiera della liturgia cattolica una “antipreghiera” contro il potere, i potenti, la Chiesa.

Riportiamo di seguito i commenti dello studioso Bruno Chinè sul testo del brano, e il video dell’esecuzione di Capossela :

«Il Cardona, segue apparentemente la tradizione.

Granni Deu, a tia laudamu / Ed a ti ani cunfessamu / Tu crijasti da lu nenti / Celi, Stiddi e Firmamenti; /Terri, Mari, Pisci, Auceddi, /Omu forti e donni beddi; /E pe ta summa crimienzia / Tu ni dai la pruvidenzia.

I cori angelici e gli uomini tutti innalzano a Dio le loro lodi. A questo punto i versi del Cardona assumono un aspetto dissacratorio e satirico verso un Dio potente che consente che il male trionfi, premia i malvagi e sacrifica i buoni. Nel lettore si presenta l’antica domanda che troviamo per la prima volta nel libro di Giobbe: perché Dio premia i cattivi e punisce i buoni? Ma il poeta non s’interroga, si serva della satira e dell’ironia per demolire la presenza d’un Dio buono e provvidente. Cita il Vecchio e il Nuovo Testamento per demolire l’apparato teologico e dogmatico cristiano. A differenza di Arrigo Boito che fa professione di fede in un Dio crudele Cardona sembra intenzionato a demolire la stessa esistenza di Dio. Ironizza sulla promessa di salute eterna per i poveri e perseguitati; irride sulla imperscrutabilità divina. La satira diventa sarcasmo ed invettiva quando dal Re celeste si passa a quello di Napoli e ai responsabili della dura repressione dei patrioti napoletani del 1799. Il Cardona individua una delle responsabili in Lady Hamilton, la bella cortigiana di facili costumi, animatrice di feste e banchetti, centro di ogni intrigo di Corte e amante del Conte Acton prima e dell’ammiraglio Nelson dopo.

Na Srufazza furasteri / veni scalza ed alla nura ; / ‘Nu Signori Cavalieri / Ciuccia ciuccia s’innamura, /La manteni cu li cocchi; / si fa futtari da tutti / Viva Deu di Sabautti.

Il Nelson si serve proprio di Lady Emma Liona Hamilton per convincere la regina Maria Carolina a non rispettare le condizioni di resa pattuite dal cardinale Fabrizio Ruffo con i capi repubblicani assediati. Cardona scrive la seconda parte del canto nel 1800. I suoi strali, anzi il suo disprezzo è rivolto ora alla Liona, ritenuta responsabile dei patti non mantenuti.

Ma ‘na scrufa ni spugghiai, / Si pascii di carni umana, Spugghiai banchi, chiesi e chiostri; nun trattai che furii e mostri,/ Spira tossicu e binnitta, / nì li scagghi ‘na saitta.

Ridicolizza le Scritture dove affermano che Dio al termine della creazione fece l’uomo a sua immagine somiglianza.

Tu che l’omini facisti / tali e quali com’ a tia / E che dopu ti pentisti / d’avi fattu sta ginia ; /Po’ criasti li Niruni, /Li tiranni a milioni / Ed a quisti ti assumigghii? / Che beddizzi! Che cunsigghi!

Dissacra il peccato originale, la redenzione per i soli battezzati e la giustizia di Dio che trasmette la colpa d’Adamo a tutto il genere umano.

La justizia tui severa / Tutti l’omini ha futtutu. Ma ‘ntra tanti milioni / c’hai ridenti, tu pirduni / Quiddi picchi vattiati,/ Confessati…uh, che pietati

Ironizza sul popolo eletto che ha crocifisso Cristo e sull’alleanza del Trono con l’Altare per mantenere lo status quo.

Nui cridimu a tempi nostri / Che l’aletti su li mostri: / ‘Na scrufazza che ci accidi / Lazzaroni e Santafidi

Dopo avere demolito i pilastri della dottrina cristiana Cardona lancia l’affondo finale. Colpisce al cuore l’apparato dogmatico della fede cattolica, cioè il Credo, professione di fede dei cristiani.

Nui cridimu firmamenti / Che sit’unu e siti trii / Tutti trii onnipotenti, / Unu Deu non già tri Dii. / Diciarannu li marmotti, / Ch’è nu jocu a bussolotti; / Nui pirò strillami tutti; / Viva Deu di Sabautti.

Il poeta vive in un periodo di grandi rivolgimenti culturali e politici. L’alleanza del Trono con l’Altare blocca anche a Napoli ogni anelito di libertà. Il popolo ignorante e affamato sta con i Borbone anche per gli errori dei francesi e dei liberali napoletani durante la breve vita della Repubblica. Cardona sa bene che per preparare tempi nuovi occorre demolire la monarchia borbonica e quella papale. Questo è lo scopo del Te Deum scritto in dialetto per renderlo accessibile ad un popolo ancora quasi completamente analfabeta.»

testo tratto da Bruno Chinè, Il “Te Deum dei calabresi” di Gian Lorenzo Cardona, www.ilpaese.info/old_web/Cultura/Cultura%20&%20Spettacolo/BRUNO%20CHINE/Cardona%20Gian%20Lorenzo%20di%20Bruno%20Chinè.htm

 

ecco il video con la versione di Capossela:

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