Ieri e oggi le voci della Taranta

di Sergio Torsello

dal Nuovo Quotidiano di Puglia, 8 giugno 2012

Ritorno-a-Kurumuny-1-e1347262760562Nell’ultimo numero della rivista svizzera “Cahier d’Etnomusicologique” (25/2012) è pubblicato un lungo saggio di Flavia Gervasi dal titolo Affermazione artistica e criteri estetici dei cantori revivalisti del Salento. L’articolo è basato sui risultati di una lunga indagine sul campo svolta tra il 2007 e il 2010 ed è illustrato con foto scattate nell’ultima edizione della Notte della Taranta (addirittura in copertina campeggia una bella foto di Anna Cinzia Villani).

Sulla ricerca della Gervasi pubblichiamo questa intervista apparsa in occasione della discussione della tesi di dottorato.

Il Salento è sempre più un terreno di osservazione privilegiato per l’etnomusicologia internazionale. Nei giorni scorsi presso l’Università di Montreal, Flavia Gervasi, giovane ricercatrice di Ceglie Messapica (Br), ha discusso una importante tesi di dottorato dal titolo, Etnomusicologia ed estetica: dalla riflessione epistemologica alla ricerca sul campo. Uno studio comparativo della vocalità di tradizione orale nel Sud Italia. Quasi quattrocento pagine che raccolgono i frutti di cinque anni di ricerche nel Salento sotto la direzione di Jean Jacques Nattiez, uno dei più autorevoli esponenti della musicologia internazionale, pioniere negli anni ‘70 della semiologia musicale.

Quali sono stati i presupposti teorici della ricerca?

La tesi è incentrata sullo studio dei comportamenti estetici in riferimento alle pratiche vocali di tradizione orale del Salento. La ricerca sul campo si è svolta presso due gruppi distinti di cantori: gli anziani e i giovani legati al movimento di riproposta. L’obiettivo era quello di spiegare il funzionamento dell’esperienza estetica di ciascuno dei due gruppi rispetto alle pratiche vocali tradizionali, quelle storiche e quelle contemporanee. I due gruppi sono coevi, ma rappresentano classi d’età, contesti culturali ed economico-sociali differenti. Ho condotto due etnografie parallele, con tempi e modalità diverse, in una prospettiva comparativa.

La sua tesi contiene anche un elemento “riflessivo”: la necessità di ripensare lo statuto disciplinare dell’etnomusicologia.

La ricerca sul campo insegna ad adattare l’osservazione e l’analisi all’oggetto e non viceversa. La realtà musicale del Salento contemporaneo è articolata, multidimensionale, stratificata a più livelli. E per ogni livello è necessario usare strumenti metodologici appropriati. Lavorare con i cantori contadini ha significato, per esempio, praticare una sorta di “archeologia musicale” con la quale gli etnomusicologi spesso sono chiamati a confrontarsi, ma per la quale non esistono “manuali”. Se pensiamo, invece, alle pratiche attuali legate alla riproposta le competenze dell’etnomusicologia sistematica sono in gran parte inefficaci.

In che senso?

Il modo di cantare oggi è meno interessante dal punto di vista dell’analisi musicale, rispetto alle pratiche vocali contadine. Più interessanti invece le ragioni di questo ritorno alla tradizione, le modalità attraverso le quali i musicisti della riproposta si sono inventati un nuovo statuto musicale e sociale, hanno conquistato una dimensione artistica e commerciale in ambito extraregionale. È fondamentale, allora, elaborare una metodologia di indagine capace di comprendere le connessioni tra gli eventi e le intenzioni, tra la retorica del linguaggio e i procedimenti musicali veri e propri. È il caso di ritornare a osservare i fenomeni e non a interpretarli ricorrendo a categorie preordinate. E soprattutto non bisogna limitarsi a considerare se il revival salentino ci piace o meno, se i prodotti musicali soddisfano il nostro gusto.

Cosa aggiunge di nuovo rispetto a quanto già sappiamo sulla musica tradizionale salentina?

Ho l’impressione che le ricerche musicali condotte in Salento, dalle storiche campagne di Lomax e Carpitella sino alle più recenti rilevazioni, non si siano mai scrollate di dosso la sindrome di una etnomusicologia “d’urgenza” ossessionata dalla necessità di registrare pratiche musicali in “pericolo di sopravvivenza”. Io invece sono partita da interrogativi teorici: a me interessava osservare per quali ragioni – culturali, sociali, cognitive – può instaurarsi una relazione estetica o semplicemente di piacere tra l’ascoltatore e la musica.

Quindi una ricerca con un taglio sperimentale?

Non mi interessava documentare repertori. Ispirandomi alle ricerche compiute da Simha Arom in Africa centrale ho “fabbricato” delle situazioni sperimentali in cui far interagire le due generazioni: i giovani si sono sottoposti a lezioni di canto impartite dagli anziani cantori di Martano. Questo mi ha permesso di ottenere delle informazioni sostanziali sulla concezione musicale di alcuni maestri di canto. I risultati ottenuti sono stati particolarmente interessanti. Grazie a queste tecniche ho potuto avanzare un’ipotesi inedita che spiega su quale logica costruttiva si regga una pratica vocale come l’aria del trainiere, così come i cantori contadini la eseguono.

Qual è la sua opinione sul fenomeno del revival salentino?

Penso che il revival salentino della pizzica debba essere valutato in maniera indipendente dalla realtà contadina e accostato piuttosto alle dinamiche del pop e della musica commerciale con tutta la sua fabbricazione di miti e icone. Dal punto di vista strettamente musicale, operato questo doveroso affrancamento dall’universo di valori del mondo contadino, sarebbe il momento di cominciare a valutare le qualità artistiche e musicali dei protagonisti di questo movimento indipendentemente da arbitrarie scale di autenticità.

foto tratta dal video Ritorno a Kurumuny, di Piero Cannizzaro

 

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