La Notte non salva la memoria musicale del Salento

di Vincenzo Santoro

da La Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì 5 ottobre 2007

notte-della-taranta-2006-melpignano-foto-lucio-dalla-610x376Se la si valuta in termini di visibilità e di promozione per il Salento, è indubbio che la Notte della Taranta sia un esempio di grande successo, anche considerandola in rapporto con le sempre più ingenti risorse necessarie a sostenerla (ormai arrivate quasi al milione di euro all’anno). Siamo di fronte dunque a uno degli esperimenti maggiormente riusciti in Italia di intervento pubblico nel campo della valorizzazione delle tradizioni musicali, come testimoniato dal crescente interesse che riscuote anche tra gli studiosi e gli addetti ai lavori del settore dello Spettacolo.

Questi risultati, che sono innegabili, come anche la grande presenza di pubblico che accompagna non solo la serata di Melpignano, ma anche tutta la lunga serie dei concerti “a ragnatela”, vengono però utilizzati dagli organizzatori contro chiunque osi criticare qualunque aspetto della Notte, con un riflesso condizionato che porta a vedere dietro ogni voce dissonante un nemico. È un atteggiamento profondamente sbagliato, perché questo evento solleva tante discussioni anche in quanto rappresenta il momento di maggiore visibilità di un “movimento” culturale – quello collegato alla “pizzica” e alle tradizioni musicali salentine – che in tanti hanno contribuito a costruire, destinandovi energie e passione.

In molti dimenticano infatti che il “movimento della pizzica” non nasce certo dieci anni fa a Melpignano; in quel momento esisteva già da diversi anni una rete articolata e vivacissima di operatori culturali e di gruppi musicali “di base”, che diffondevano – certo muovendosi in un ambito molto più ristretto di quello di oggi – la musica del Salento in Italia e nel mondo, trovando nelle istituzioni pubbliche indifferenza se non ostilità. E peraltro tutto quello che è successo negli ultimi quindici anni non sarebbe stato possibile senza il lavoro di ricerca e riproposizione della nostra musica tradizionale compiuto negli anni Settanta da molti “pionieri”, a partire dalla protagonista principale, la compianta Rina Durante. La Notte della Taranta si innesta evidentemente su questa lunga storia “plurale”, e in questo senso è un grande patrimonio collettivo, che in quanto tale può essere legittimamente criticato e discusso, anche perché continua a fondarsi prevalentemente su risorse pubbliche.

Per quanto mi riguarda, ritengo da diversi anni che il principale limite di questa esperienza, al di là dei variabili risultati artistici, sia nelle sue promesse non mantenute. Nel 1997 la fondazione dell’Istituto “Diego Carpitella” fu la risposta che un gruppo di amministratori di Comuni tutto sommato abbastanza periferici della nostra provincia diede alle istanze del “movimento”, che chiedevano finalmente un intervento organico e non effimero delle istituzioni sui temi della salvaguardia e valorizzazione della cultura tradizionale. In particolare, la richiesta “storica” (se ne parlava già negli anni Settanta) era di creare una struttura che consentisse, nel momento in cui i nostri patrimoni tradizionali si andavano disgregando sotto la spinta distruttrice del “progresso”, di salvare il salvabile. Un “Archivio della tradizione musicale salentina”, che doveva avere il compito di conservare la nostra memoria “sonora”, di restituirla alla fruizione collettiva e di inserirla in un circuito creativo “consapevole”. Per questi scopi fu creato l’Istituto “Carpitella”, e per queste ragioni gli fu dato il nome del fondatore dell’etnomusicologia italiana. L’attività di “promozione”, di organizzazione di eventi spettacolari, sarebbe dovuta essere secondaria rispetto allo scopo principale. Dopo più di dieci anni, nonostante a più riprese il tema sia stato sollevato con forza (l’ultima occasione è stato un partecipatissimo convegno organizzato dalla web-community www.pizzicata.it ad Alessano in febbraio), questa promessa risulta del tutto disattesa. Gli amministratori pubblici che hanno gestito l’Istituto hanno concentrato quasi tutte le risorse e le energie disponibili sulla macchina spettacolare – che garantisce grandissima visibilità mediatica – e hanno confinato il resto ad attività residuali. Questo rappresenta un danno su più piani, sia perché la conservazione delle fonti è fondamentale per preservare la memoria storica nella sua complessità e nella sua articolazione plurale, sia perché solo a partire da una conoscenza approfondita dei patrimoni tradizionali si può ipotizzare un’evoluzione artistica che non sia solo banale “mercificazione” o un effimero seguire le mode del momento (come purtroppo sempre più spesso ci capita di vedere). Nell’attesa che qualcuno si attivi per onorare quel debito, mentre si celebrano i fasti dei grandi eventi dell’estate salentina, gli ultimi anziani “alberi di canto” scompaiono, e con loro la nostra memoria musicale continua inesorabilmente a disgregarsi e a disperdersi.

 

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