Chi ha paura del tradimento?

Come tutte le estati da qualche anno in qua, con l’avvicinarsi della «Notte della taranta» – il 26 agosto nel Salento, a Melpignano – si scatenano le polemiche su un evento che è ormai un must per gli amanti della musica popolare e delle sue mille sfaccettature, ma che è anche diventato in qualche modo il paradigma di un sud che sa contare sulle sue forze e sulle sue risorse per proporsi come snodo centrale della scena culturale globalizzata.
Grazie all’impegno dell’Istituto Diego Carpitella, del vulcanico sindaco di Melpignano Sergio Blasi e dei suoi collaboratori, all’intervento di Ambrogio Sparagna e al coinvolgimento della Fondazione dell’Auditorium della Musica di Roma, l’evento «Notte della taranta» è diventato globale conquistando con la forza ipnotica del ritmo della pizzica le grand rockstar italiane e mondiali. Ne è nata una contaminazione che svela le radici comuni della grande musica popolare dalla pizzica, al jazz, al blues, al reggae.
Come ogni evento di successo ogni sua edizione, lo dicevo prima, è stata accompagnata da polemiche. Dapprima, si polemizzò con l’idea stessa di «contaminazione» con la musica rock: ciò, sostenevano i puristi, distrugge le radici della musica popolare che ha i suoi canoni da rispettare; poi, lo scorso anno, si contestò la scelta di Ambrogio Sparagna di sfidare la tradizione che vuole la pizzica accompagnata da pochissimi elementi (chitarra, fisarmonica e tamburello) per costruire una grande orchestra popolare che conferisce alla pizzica una nuova sonorità che lo scorso anno lasciò tutti a bocca aperta.
Ma l’accusa di tradimento in realtà è un complimento: la radice della parola tradire è infatti la stessa della parola tradurre e lo sforzo compiuto in tutti questi anni cos’altro è se non cercare di tradurre un linguaggio in modo che sia comprensibile ad altri? Ciò che ha consentito, grazie anche al terreno già arato da gruppi come i Sud Sound System, di rendere la musica popolare salentina un linguaggio che è compreso dal giovane rasta come dal vecchio contadino e il Salento un luogo di incontro, di dialogo, di reciproco ascolto.
Quest’anno la polemica è di tono diverso perché viene da uno scrittore salentino d’adozione come Roberto Cotroneo che della «Notte della taranta» è sempre stato un grande fan. Ormai è diventata solo un evento mondano e non fa più innovazione, ha detto, annunciando che diserterà l’edizione di quest’anno.
Anche io sono in qualche misura un salentino d’adozione, ma riconosco al mio amico Roberto una conoscenza infinitamente superiore alla mia e tuttavia mi permetto di dissentire da lui. Il fatto che la «Notte della taranta» sia anche un evento mondano è la misura del suo successo perché non è nata come tale, ma è stata la sua capacità di coinvolgimento popolare a imporla come evento mondano. E quando dico coinvolgimento popolare non mi riferisco a un fattore ideologico: è questa forza attrattiva della «Notte» infatti che ne fa un grande motore economico, che fa affluire risorse e costruisce potenzialità di sviluppo.
Ha però ragione Cotroneo quando dice che si tratta di un evento divenuto grandioso ma sostanzialmente isolato. A me, da semplice spettatore della «Notte» e amante del Salento, piace pensare che attorno all’evento si possa creare un forte e coordinato rilancio dell’offerta turistico culturale mettendo in rete tutto ciò che è necessario: politiche dell’accoglienza, valorizzazione di percorsi naturalistici e gastronomici, differenziazione dell’offerta culturale.
Il Salento, insomma, potrebbe diventare il laboratorio di uno sviluppo del sud centrato su un mix che valorizzi le sue risorse in un’offerta turistica competitiva perché davvero unica al mondo: dove altro musica, natura, cultura e storia si potrebbero incontrare in modo così integrato?
Intanto, per quest’anno vado a godermi di nuovo lo spettacolo magico della notte di Melpignano.

Tratto da il manifesto del 22 agosto 2006

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