«Chi ha paura della taranta? La nostra terra è questo e altro»

Ho scelto un’estate di basso profilo, al riparo. Letture, lavori di scrittura, poco impegno mondano, poche feste, poco lavoro organizzativo. Scelgo, un po’ sto a guardare e nelle visite, nei solitari pellegrinaggi che mi capita fare, quest’anno non ho mai incontrato la pizzica ma ho letto e sentito di molti che la odiano. Esagerati cultori del «so solo io di cosa ha bisogno la Terra Salentina». Pontificano che no, adesso basta, pensiamo alle cose serie! Come se la pizzica non fosse una cosa molto seria, come se la pizzica nella sua autonomia non sia stato il motore che ha portato la Terra Salentina al riparo dall’eterna soggezione della provincia incolta e poppeta, «reclusa nell’eterno purgatorio del ritardo». Come se la pizzica fosse uno scarto, un resto di cui vergognarsi, questo sì atteggiamento da parvenu, di persone rifatte che nel salotto buono non vogliono sentir parlare di popolo, di sudore e di passioni. La pizzica intanto continua il suo cammino pervasivo, s’è fatta elettrica. Elaborata già lo era nelle ibridazioni in cui è stata cucinata dalla ricerca, in questi anni di renaissance, patrimonio di gruppi d’eccellenza nel panorama musicale italiano ed internazionale. S’è fatta elettrica ha preso il posto di Romagna mia, è materia di festa, quella seria con le luminarie, le nocciole, i fuochi d’artificio. Portata in quattro quarti da voci brillanti di signori e signorine, con giri di basso e di chitarra, fisarmonica, sax contralti e clarinetti. Gioia del popolo col vestito nuovo in parata di santi, in processione di bande che presto la suoneranno per accompagnare il patrono. Adesso non è più materia di cultori, è roba consueta, segno e lingua, impastata alla terra ancora una volta. Allora mi chiedo chi ha paura della pizzica? Perché esserne ossessionati? Il Salento che elabora che scrive atti culturali, che è in cerca, che ha certamente lavorato per la rinascita cavalcando un motore che andava a sibili di tamburrello, continua il suo lavoro produce, guarda, propone. Dal mio riparo posso scegliere. A luglio Oronzo! E Irene? kermesse di artisti, operatori, politici e liberi pensatori che si sono confrontati con la necessità di dare luoghi alla cultura allestendo una grossa collettiva di opere e relazioni all’interno dell’ex Convitto Palmieri. Neanche una pizzica suonata. Poi il Progetto Egnatia tutto trans nazionale, s’è partiti il primo giorno in nave da Gallipoli, rotta verso Otranto. Il desiderio volto all’Albania che è comparsa nelle sale e nel giardino di palazzo De Donno a Cursi, in tracciati di diari video, in canti (melodie e ritmi anche salentini) con testimonianze di greci sefarditi, di curdi, di rom, di griki nostrani. L’oriente a noi prossimo, evocato in immagini e in racconti di vite che hanno richiamato la necessità di scorticare il filo delle unicità identitarie, per costruire un cortocircuito culturale capace di integrare esperienze, di segnare una lingua unica per comprendere il valore di una comune appartenenza mediterranea, materia sensibile volta alla bellezza, al rigore, alla umiltà e all’ascolto reciproco. Poi a Galatone è venuto il Cinema del Reale, c’era tutto un parterre di cineasti militanti, quelli che, come il maestro De Seta, macchina in spalla vanno a guardare da vicino storie, conflitti e incanti, per farne film che poca occasione hanno di farsi guardare. Negli intermezzi tra un documentario e l’altro la musica era la voce di Billie Holiday. In questi primi giorni di agosto ho scelto il Lua, il laboratorio urbano aperto che per il terzo anno si tiene a San Cassiano, un officina di progetto animata da architetti, urbanisti, agronomi, designer, videomaker, scrittori che si confronta in questa edizione con l’immensita dei Paduli, una zona di bonifica che si estende per km di natura segreta e magica, abitata da pastori e da ulivi secolari, da piante tipiche delle zone umide e da foraggio. Qui la pizzica la senti archetipa nel riverbero continuo delle cicale che stordiscono, lasciando alla sera il canto ai grilli e a piccoli fuochi che sì, la pizzica la possono portare, con sbuffi di polvere sull’aia in contese amorose che mai osano mani. Adesso il tempo matura può concedere spazio alla frenesia del piede che batte, si fa Notte e «i canti son mesi che provano anche loro al riparo». Melpignano 27 agosto l’appuntamento. E mi chiedo chi e perché ha paura della pizzica? Chi ha paura di un evento (La Notte della Taranta) che finalmente si pone il problema di non essere semplicemente un evento, che costruisce l’occasione di crescita per un ensemble responsabile e capace che affina esperienze e vocazioni, che cresce le sensibilità e le capacità tecniche dei nostri interpreti, che elabora repertorio. La Fondazione per la continuità che auspico è una delle stanze di un processo di crescita culturale che certamente ha bisogno di sedimentare pensiero concertando differenze per concretizzare la sua valenza di leva culturale ed insieme politica che disegna sviluppo, benessere e qualità. Vi garantisco non c’è d’aver paura, basta scegliere, la Terra Salentina è di molte cose insieme.

tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno
di Mauro Marino (operatore del Fondo Verri)
pubblicato il 17/08/2005

FacebookTwitterGoogle+WhatsAppGoogle GmailCondividi