Viva la pizzica ma torniamo a considerarla solo una danza

Solo un evento commerciale, come la speculazione su San Pio a San Giovanni Rotondo
Il business Notte della taranta non spacciamolo per nobile
Se vi piace la pizzica ballatela pure e buon divertimento, ma attenzione a non confondere una danza popolare con altro.

Alla metà del Cinquecento un tal Zuccolo da Colonia descrisse in un libro La pazzia del ballo mentre la Folia, una danza forse di origine caraibica, attraverso la penisola iberica faceva il suo ingresso in Europa, seguita a ruota dalla Sarabanda e dalla Ciaccona. A ondate questi balli esotici giungevano nel vecchio continente con la loro immancabile carica di erotismo e sensualità e puntualmente venivano purgati e piegati alla moda estetizzante del momento. La Pizzica dei nostri giorni non è diversa da quei balli antichi: a mano a mano che si allarga la sua notorietà è condannata a perdere i suoi caratteri originali.
Qualcuno auspica un prossimo riconoscimento di carattere nazionale, come il tango argentino o il fado portoghese e già si scatenano le immancabili proteste nei confronti di pizziche non autentiche eseguite da musicisti non doc, ossia non salentini. Partiamo da una constatazione banale: ognuno nel mondo dovrebbe essere libero di ascoltare la musica che gli piace e di ballare quel che gli pare. Si può non amare il minestrone (melting pot) di culture delle “musiques du monde” ma è certamente una conquista libertaria del nostro tempo il poter ascoltare praticamente tutto in disco.

Si può non amare la monotonia di due accordi ripetuti all´infinito con melodie stridenti di un violino non del tutto accordato, ma se vi piace proprio quel ballo che chiamano pizzica, pizzicata, tarantella, e simili, forza buttatevi pure. Il vero problema che è alla radice del fenomeno di cui ci occupiamo è la pretesa che un momento ludico, perlopiù giovanile e di massa, come il ballo della pizzica abbia radici antropologiche o rituali o simboliche profonde, ancorate in una salentinità che sarebbe orgogliosa oggi di quel che ha negato per secoli. Sono contento che gli interventi su queste pagine di Mario Desiati e altri abbiano rivelato come tanti intellettuali non tollerino più questa messinscena creata per puro scopo commerciale e divenuta un tabù impossibile da discutere. Il sindaco di Melpignano fa il suo mestiere: la Notte della taranta è business non più che l´ex Padre Pio per San Giovanni Rotondo.
Semmai quel che ci sembra indecoroso è il sostegno degli enti pubblici pugliesi ad una festa da ballo già molto lucrosa. Le migliaia di devoti del ragno vadano pure a divertirsi, a ballare tutti insieme come a un concerto di Vasco Rossi, ma si smetta di creare giustificazioni ieratiche ed ontologiche per questo show così come per tutte le altre forme di sfruttamento intensivo dei due accordi ripetuti, eseguiti sempre uguali da decine di complessi dai nomi dialettali più stravaganti, registrati in valanghe di cd, con una fioritura di libri impressionante quanto, per la maggior parte, scientificamente inesistente.
Tutti invocano i sacri nomi di De Martino e Carpitella, tralasciando il fatto che il primo si era rallegrato già nel 1959 che un fenomeno indegno e tristissimo di degrado psicofisico soprattutto femminile quale il tarantismo fosse finalmente prossimo alla scomparsa, e che il secondo nell´ultimo decennio della sua vita non voleva sentir parlare di tarantelle e pizziche. Come storici, dobbiamo a questi due grandi studiosi una lezione straordinaria, che la recente pubblicazione di inediti sonori curata da Maurizio Agamennone contribuisce ad apprezzare.
l fenomeno della “neopizzica” è certamente interessante per i sociologi della comunicazione, perché caso raro se non unico di riappropriazione di moduli musicali mutuati non dalla tradizione viva ma da registrazioni discografiche, quelle appunto del 1959, rimesse in circolo, imitate a gemmazione, fino all´esplosione attuale. Che di quegli accordi si servano artisti di tutto il mondo per fare musica che piace alla gente non vi è nulla di sbagliato: suonate e ballate ma, per favore, lasciate stare le povere tarantole che, del resto, dovrebbero essere specie protette.

tratto da la Repubblica, edizione di Bari
di Dinko Fabris
pubblicato il 29/07/2005

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