Ma la Notte della Taranta ha ucciso la cultura salentina

Le speranze per una Puglia migliore stanno appassendo dinanzi alle scelte di politici senza arte e faziosi. Pazienza passerá.

Ci sono alcune imprecisioni nell’intervento bello e “puntuto” di Mario Desiati su Repubblica. Apparentemente banali, ma dietro cui si nascondono dei nodi politici che rischiano di farsi cappio. Il primo impaccato sarà il sogno di Vendola di una Puglia migliore. I pugliesi possono decidere di impiccarsi alla pizzica, alle sagre delle melanzane e delle pittulicche, ma credo sia utile che qualche intellettuale – pazienza se per questo sarò considerato snob – ci costringa a riflettere sul profluvio di eventi che ogni estate si abbatte come uno tsunami sulla nostra terra. Quasi più devastante delle colate di cemento e della privatizzazione selvaggia delle spiagge.

Ma passiamo alle imprecisioni di Desiati. Luna otrantina è una canzone scritta da Rina Durante (insieme a Come farò a diventare un mito). Era, in altre parole, la rivisitazione di una pagina di storia mirata a riascoltare le voci che i potenti di allora avevano condannato al silenzio del martirio (il sacco di Otranto del 1480). Isolate da quella storia le due canzoni galleggiano nella palude sonora dei concerti; o, se volete, occupano un piccolo spazio nel bazar del consumismo musicale. Esattamente la stessa operazione che è stata fatta quando, alla fine degli anni ’70, la pizzica è stata estratta dal suo contesto non mercificabile, il rito arcaico (quanto?) del tarantismo, e immessa nei contenitori che offriva il mercato: concerti, dischi e cd.

In questo quadro la “trovata” de La Notte della Taranta è l’approdo obbligato del traghettamento dei prodotti materiali e immateriali della società e delle culture subalterne nel mercato consumistico. Ma il “patron” de La notte della Taranta pretende gli applausi dei militanti di partito. E le spara grosse. Ha provato a scorrere i titoli di una bibliografia sul tarantismo? E perché dovrebbe essere rilevante la provenienza geografica degli studiosi? Sarebbe interessante, invece, che Sergio Blasi, segretario provinciale dei Ds, si chiedesse perché, mentre da una parte la spedizione del ‘59 di de Martino veniva finanziata dal Pci, dall’altra i dirigenti locali di quel partito schifavano tutto quanto avesse a che fare con la cultura popolare e consideravano gente come Rina Durante, o una delle sue ospiti dell’edizione di quest’anno, Giovanna Marini, dei picchiatelli che andavano in giro a cercare relitti di antistoriche superstizioni. A quel tempo gli illuminati politici di sinistra auspicavano poli chimici e siderurgici e, in effetti, molti contadini diventarono operai, però nelle fabbriche svizzere e tedesche; pochi (fortunati?) entrarono nel petrolchimico di Brindisi e nell’Italsider di Taranto. È legittimo interrogarsi sul modello di sviluppo che hanno in mente oggi i nuovi amministratori? Oggi tutti camerieri e suonatori di pizzica e altre amenità folkloristiche per sollazzare i turisti? Il consulente scientifico dell’Istituto Carpitella, Sergio Torsello, sostiene che attraverso la Notte della Taranta ha resuscitato l’antico rito del tarantismo “quando era morto e sepolto”. Bravo! Meglio di Cristo che si limitò a resuscitare il povero Lazzaro. Le speranze per una politica rispettosa delle fragili pianticelle della cultura e dell’arte cominciano ad appassire sotto i piedi di amministratori senza arte, ma di parte. Passerà.

(l’autore è docente di Storia dello spettacolo all’Università di Lecce).

tratto da la Repubblica, edizione di Bari
di Luigi A. Santoro
pubblicato il 26/07/2005

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