Il Salento di Giovanna Marini: recensione su Alias

da Alias (il manifesto) – di Marco Boccitto

“Svoli” di fantasia e riproposta allo stato puro

Canto allo stato puro, che rinuncia spavaldo alle suggestioni più superficiali e massificate dell’ultima ora, indifferente all’ebrezza del «taranta power» e della «pizzica-trance». È Il Salento di Giovanna Marini (Aramirè), mica quello di Stewart Copeland. Un disco che al documento raccolto sul campo affianca, un po’ come accade con quelle compilation che in due cd riescono a dar conto sia dei remix che delle versioni originali, la «riproposta» curata dalla cantante, chitarrista e compositrice romana, amica storica della cultura orale e della canzone popolare. È un Salento che le appartiene, visto che «sue» sono le registrazioni realizzate a Sternatia e nella Grecia Salentina a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, da cui tutto parte; a lei dobbiamo la «scoperta» di voci come quelle di Mariuccia Chiriacò e il salvataggio, con rilancio a stretto giro, di un repertorio su cui incombeva una colata di cemento e di indifferenza.

Giovanna Marini ha curiosato, approfondito, documentato, ha captato, cantato e ricantato canzoni sull’emigrazione e sull’amore, lamenti funebri, canti di lavoro e di rivolta, ha preso ‘Ntunucciu e ne ha fatto uno standard imprescindibile per gli stessi gruppi salentini. Agendo da ricercatrice impura, o se preferite da pura appassionata, senza pretese scientifiche né particolare perizia tecnica, è entrata in empatia con i suoi interlocutori, rubandogli con gli occhi e le orecchie tutto quello che poteva. Ha aggiunto la sua voce alle loro, stabilendo interazioni incompatibili con l’etnomusicologia. A costo di smarrire le sue certezze di musicista diplomata e di sacrificare la propria identità, è stata sarda in Sardegna, cilentana nel Cilento, salentina nel Salento. Ha recuperato. Poi, generosamente ispirata, ha creato e ricreato. Senza complessi verso l’alto né istinti rapaci verso il basso. Una capacità narrativa esagerata, da affabulatrice di rango. E dagli incontri con Pasolini, Fo, Calvino, Gianni Bosio, Leydi, Carpitella, come da quello con i fuoriclasse del canto e della poesia di matrice contadina, da Giovanna Daffini a Peppino Marotto, ha saputo trarre storie, tecniche, energie, consapevolezza, «svoli» di fantasia. A di qua e al di là dei riconoscimenti ottenuti con il suo Quartetto Vocale, Giovanna Marini oggi può contare su un ascolto più vasto e qualificato, vuoi per la visibillità irradiata dal recente duetto con De Gregori, vuoi per quel po’ di rispetto in più che sembra avvolgere la musica tradizionale, nonostante le forzature «etniche». È bene dunque tornare a quel «suo» Salento, le voci a lei care, frammenti di un passato da cui ripartire verso un «futuro più ricco e creativo», come scrive Sergio Torsello nelle note che integrano i due cd. È quello che faceva lei elaborando versioni proprie dei canti raccolti in precedenza: qui ci sono pezzi tratti da I treni per Reggio Calabria, Fare Musica, L’Eroe, altri da un concerto inedito e un’ultima ballata, La storiella di Pierina, è stata registrata per la nuova circostanza da Alessandro Portelli. Spetta a lui, ancora nelle note, sottolineare gli aspetti che rendono incomparabile il lavoro di Giovanna Marini fin dall’inizio, con quello spastamento poetico e politico di accento: dalla ricerca dei suoi alla ricerca delle persone che stanno dietro a quei suoni.

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