Storia dell’Acait e Tricase, così un’industria si fece simbolo

da La Gazzetta del Mezzogiorno

Le vicende del tabacchificio, narrate nel libro di Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, come identit della comunità. L’analisi del professor Renato Covino

La memoria è la rielaborazione delle propria storia, dei modi in cui si sono vissute le vicende collettive e personali. La storia orale è il tentativo di ricorstruire attraverso il filo del ricordo delle soggettività plurali, delle dissonanze e delle ambiguità dei singoli racconti le dinamiche che operano in una comunità. Lo storico orale avvertito sa che dal racconto non scaturisce “la verità”, quanto “le verità” dei singoli protagonisti, filtrate attraverso la dimensione del tempo.

Da questo punto di vista Tabacco e tabacchine nella memoria storica. Una ricerca di storia orale a Tricase e nel Salento, a cura di Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, con un’introduzione di Alessandro Portelli, recentemente pubblicato da Manni, si presenta come una ricerca esemplare. Il volume è costruito attreverso 32 interviste a tabacchine, braccianti, tecnici, detentori di concessioni e soci dell’Acait (L’Azienda Cooperativa Agricola Industriale di Tricase). La Cooperativa, ormai sciolta dal 1995, era stata fondata nel 1902 dai proprietari della zona con la ragione sociale “Consorzio Agrario del Capo di Leuca”, essa possedeva uno dei maggiori stabilimenti di lavorazione del tabacco nel Salento, la sua crisi sarebbe cominciata quando da concessione statale si sarebbe trasformata in azienda operante senza reti e protezioni sul mercato.

I curatori hanno provveduto, secondo una tecnica ormai consolidata, a smontare e rimontare le interviste, seguendo alcuni percorsi tematici, che costituiscono altrettante partizioni narrative. Il primo percorso è costituito dalla coltivazione del tabacco nel Salento. L’analisi si è concentrata sulle caratteristiche del tabacco coltivato nell’area (Il “levantino”), sui rapporti tra la coltivazione e la manifattura, sulle migrazioni, sulla fine della coltivazione del tabacco, letta come fine di una storia o come possibilità di riprendere un itinerario su basi nuove. La seconda partizione è costituita dall’Azienda di Tricase, dall’organizzazione del lavoro, dalla rete di servizi che in essa operava, dalle forme di collettività e di socialità che al suo interno si instaurarono. Infine, l’ultimo asse narrativo è la rivolta di Tricase. L’evento è del 15 maggio 1935, in pieno fascismo. Di fronte alla prospettiva delle chiusura del tabacchificio e sulla spinta di alcuni notabili del luogo, i cittadini di Tricase insorgono contro le autorità politiche e amministrative della città. Interviene la forza pubblica. Il risultato è pesante: cinque morti tra i manifestanti, un numero incalcolato di feriti, decine d’incarcerati. Al di là delle diverse valenze politiche date retrospettivamente al fatto, quello che emerge è come l’azienda assuma il ruolo di simbolo dell’intera comunità, come la possibilità che essa cessi la propria attività rappresenti non solo un momento d’impoverimento economico, ma anche d’insopportabile privazione d’identità. Del resto è questo che spiega sia i tentativi di recupero della memoria, che i progetti di acquisizione dello stabilimento da parte dell’Amministrazione comunale. La memoria, infatti, giace anche negli edifici dismessi, nell’archivio centenario sottoposto all’usura degli agenti atmosferici e dei roditori, negli oggetti e nei macchinari esposti ad azioni vandaliche o a furti ingiustificati, insomma, in quell’insieme costituito dai reperti della cultura materiale e dalla documentazione. Anche in questo caso, come per quanto riguarda i racconti e le testimonianze, occorre fare presto. Il rischio è che un pezzo importante dell’identità cittadina vada disperso, smarrisca significato. Sarebbe un’ulteriore beffa che si aggiungerebbe alla già avvenuta perdita di ricchezza e di occupazione.

Renato Covino
Docente di Archeologia Industriale – Università di Lecce

FacebookTwitterGoogle+WhatsAppGoogle GmailCondividi